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sabato 7 aprile 2018

Recensione Narrativa TUTTO è FATIDICO di Stephen King.



Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Everything's Eventual.
Anno: 2002.
Genere:  Antologia Fantastico/Thriller/Horror/Noir/Fantasy.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 536.
Prezzo: 12.50 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Quarta antologia di racconti brevi firmata da Stephen King. Arriva nel 2002 dopo A Volte Ritornano (1978), Scheletri (1985) e Incubi & Deliri (1993) con un lotto di quattordici racconti scritti nell'arco temporale compreso tra l'ultima delle tre menzionate antologie e il 2002. Si tratta quindi di un gruppo di racconti nuovi (a differenza delle altre tre opere dove saltavano fuori anche testi del primo King) che risentono un po' dell'esaurimento della fonte creativa dell'autore. Mi spiego meglio. I testi presenti in Tutto è Fatidico denotano un maggiore sviluppo stilistico e una maggiore cura nell'analisi dei personaggi operata da un King, come logico che sia, cresciuto rispetto ai suoi primi racconti, tuttavia tendono a risultare stanchi e inflazionati per quel che concerne l'idea di fondo. Altra particolarità dell'opera è che solo poco meno della metà del contenuto può ascriversi al genere horror, addirittura oltre la metà delle storie non sono neppure fantastiche, alcune di queste dalla struttura propria di un'estrapolazione da un qualcosa di maggior respiro (brevi spaccati di vita comune o episodi di un qualcosa di più ampio). King si diletta a miscelare elaborati molto diversi tra loro, dice lui avendo stabilito l'ordine dopo aver estratto a sorte da un mazzo di carte una carta di picche presente nel mazzo e associata a ogni signolo racconto con l'aggiunta del MATTO (il Joker). Ci sono addirittura dei racconti legati al filone noir o gangster story, altri fatalisti che fanno leva sull'ineluttabilità del fato, quindi un thriller ironico dalle venature erotiche, una fiaba nera, e solo un piccolo zoccolo duro di racconti del terrore sintetizzati al resto, se vogliamo, da un fantasy dall'intelaiatura western che funge da catalizzatore delle varie tematiche toccate. Insomma, non proprio un capolavoro come invece giurano, a leggere sui forum, diversi lettori del "Re" con alcuni pronti ad additare il volume come la migliore antologia nell'intera produzione di King. Questo recensore si discosta e di molto da questo giudizio, qualificando Tutto Fatidico, al 2002 (non avendo letto le due successive raccolte), quale la meno riuscita tra tutte le antologie della più famosa penna del Maine. Scendiamo dopo questa doverosa premessa nel dettaglio dell'opera.

Tre in particolare sono, a mio avviso, racconti del terrore nel vero senso della parola, tutti con elementi in comune. Siamo infatti alle prese con delle ghost stories a loro modo diverse. 1408, delle tre, è la più tradizionale. King affronta il tema inflazionatissimo della stanza d'albergo infestata dagli spiriti e per giunta collocata al fantomatico tredicesimo piano. Uno scrittore a caccia di scoop incentrati sui luoghi infestati ("esplorare i luoghi infestati dai fantasmi è il mio lavoro") scova una camera di un hotel dove si sono registrati, in sessantotto anni, tredici casi di suicidio oltre a malori e altre problematiche. Munito di audio-registratore, lo scrittore si impunta col direttore dell'albergo e pretende di esser ospitato all'interno della stanza, riuscendo nell'intento dopo aver scomodato un avvocato. La sua permanenza durerà poco più di un'ora, ma sarà devastante, in totale balia delle oscure forze che occupano la stanza.
Niente di nuovo sotto i ponti (si legga, tanto per citarne uno, Il Ragno di H.H Ewers), come si suol dire. Un racconto convenzionale che riesce a intrattenere e a trasmettere una buona dose di adrenalina pur essendo stanco nella tematica. Un tema, quello analizzato da King, sviluppato quasi per gioco in un esercizio di stile riuscito, ma non tale da trasformare il risultato finale in un qualcosa che vada oltre il semplice buon racconto. Molto più interessante, a mio avviso, la trasposizione cinematografica diretta nel 2007 dallo svedese Mikael Hafstrom con Samuel L. Jackson.

Appare invece più riuscito, per tematiche intrinseche, Riding the Bullet - Passaggio per il Nulla. Occorre premettere che si tratta di un racconto importante nell'esperienza dello scrittore del Maine. Viene infatti ricordato quale primo prodotto di un esperimento promozionale che ha fruttato all'autore un bel gruzzoletto di denaro, molto più delle aspettative originarie. È stato il primo testo di King uscito direttamente sul mercato elettronico, una prova su cui lo scrittore, reduce dal sinistro che lo aveva quasi condotto sui sentieri del non ritorno, neppure credeva, un po' come molti dei racconti qua raccolti (King parla spesso di Minestra riscaldata con un'onestà intellettuale che gli fa onore). Il nome maturato nel corso degli anni associato al basso costo e all'immediata disponibilità su internet hanno tuttavia decretato un clamoroso successo in termine di ritorno economico, meno, curiosamente, per quel che concerne il giudizio sul racconto (King si domanda in quanti, di coloro che lo hanno scaricato, lo hanno poi effettivamente letto). L'autore sottolinea come molti, all'epoca dell'uscita del testo, si avvicinassero a lui non per chiedergli aneddoti legati al racconto piuttosto per sapere curiosità legate al nuovo format distributivo.
La storia a mio avviso, pur riprendendo soluzioni di vecchio corso, non è male anche se ha il demerito di chiudere in un calando di tensione (offre il meglio di se nella parte centrale). Si tratta di un road movie che gioca sulla diversità di legame che sussiste tra una mamma e un figlio (con la prima sempre pronta a sacrificarsi) e tra questo e una mamma (col primo che ci pensa sopra due volte e poi non si sacrifica fino in fondo, accampando giustificazioni quale la più giovane età).
Colpita da un attacco al cuore, una ragazza madre di 48 anni viene ricoverata in un ospedale lontano da dove risiede il figlio studente. Quest'ultimo, avvertito dai vicini, si precipita all'ospedale per mezzo di una serie di autostop non avendo a disposizione un auto funzionante. Riceverà, strada facendo, un passaggio da un soggetto molto ambiguo che si qualificherà quale un “corriere che arriva dall'oltretomba” e che lo metterà davanti a una scelta: il ragazzo dovrà scegliere tra la propria vita e quella della madre, onde evitare che il “corriere” porti via la vita a entrambi. L'incubo assume presto le sembianze di una fantasia, ma il ragazzo, destatosi da una temporanea perdita di conoscenza, troverà tra le sue mani una spilla appartenuta al misterioso individuo, aspetto che quindi qualifica come reale l'accadimento paranormale vissuto (soluzione vecchia quanto il mondo). King è bravissimo nello stendere questa prima parte, intrisa di mistero e fascino, ma cala nella parte terminale dove si delinea il contenuto di fondo e si tramuta in un racconto giocato sul rimpianto e sulla vergogna del proprio inconscio. Un racconto dunque introspettivo, psicanalitico, dove il paranormale è mero strumento per mettere a nudo i veri sentimenti e quanto questi siano in relazione con l'attaccamento alla vita. King evidenzia come quanto ognuno di noi possa dare per scontato (come l'amore filiale) sia soggetto a evaporare al cospetto di una concreta minaccia. Da un punto di vista dell'analisi del soggetto, pertanto, è un racconto senza infamia e senza lode, ma andando ad analizzarlo nella caratterizzazione del personaggio e nella rappresentazione della vita quale montagna russa (il bullet che da titolo al racconto) dove, in fin dei conti, in molti vorrebbero salire senza poi assumere le resposabilità di tale scelta, assume un'importanza crescente tale da fare del racconto una delle migliori allegorie del lotto.

Vicino al road movie è Il Virus della Strada va a Nord, anch'esso giocato sul versante accadimento paranormale che irrompe nella quotidianità per scioccare il protagonista e minargli l'equilibrio mentale. King plasma un personaggio che è un po' un suo alter ego, uno scrittore horror a cui tutti domandano dove trovi le sue mirabolanti idee chiedendosi se forse, in fondo in fondo, non abbiano nella pazzia la loro fonte (proprio come il pittore, l'altro artista del racconto). L'originalità, del resto, è sempre stata vista quale prerogativa tipica della follia ed è questo il motivo che porta a commenti del genere resi da chi è affetto da una scarsa elasticità mentale.
Questo personaggio, interessato al macabro e al terrore, decide di acquistare l'unico quadro superstite dipinto da un giovane dedito al crack che si è suicidato, non prima di aver dato alle fiamme l'intera sua opera. Il soggetto del dipinto è un auto che corre sulla strada con a bordo un biondo ghignante con dei denti aguzzi che gli scendono sulle labbra e un tatuaggio sul braccio su cui è scritto: MORTE PIUTTOSTO CHE DISONORE. L'opera provoca orrore e ribrezzo in chi tenti di scrutarne il profondo mistero e ha una particolarità: cambia sempre di prospettiva, in un dinamismo che il protagonista scoprirà presto correlato alla realtà. Siamo dalle parti de Il Modello Pickman di Lovecraft o de Il Rondache di Leonardo di Wellman però ammodernati, con un epilogo che scema nel banale boogeyman (l'uomo nero sta venendo a ucciderti!). Sviluppo anche qua privo di originalità, ma ben tratteggiato. Una creatura mostruosa, intrappolata in un quadro che il protagonista tenta di distruggere (prima di lui lo ha fatto, probabilmente, anche il pittore che lo ha realizzato), si libera dalla fantasia, un po' come ne Il Ritratto di Gogol, e se ne va in giro a fare mattanza. E' un racconto che intrattiene e mi ha ricordato un mio vecchio elaborato, pubblicato nella mia antologia Sulle Rive del Crepuscolo, scritto nel lontano 2009/10. Belli alcuni passaggi dove, un po' come in Riding the Bullet, il protagonista si trova mentalmente a vacillare, vedendo tutte le sue certezze materiali sgretolarsi al cospetto dell'innominabile e del mistero che si cela dietro il flebile velo mosso dal vento, come lo potrebbe definire Machen, della presunta realtà. Così dice ALAN PARKER, protagonista del primo di questi due racconti: “Quella notte la mia visione del mondo cambiò e nel mio libro di filosofia non trovai niente di adeguato a quel cambiamento. Ero giunto a comprendere che ci sono delle cose sotto, e ribadisco il concetto sotto, e non c'è libro che spieghi che cosa sono. Credo che in certi casi convenga dimenticarsi che esistano.” Altro non è che il classico monito ritornante, a difesa della sanità mentale, della narrativa fantastica legata al filone ermetico.
Ne Il Virus della Strada King fa dire al suo protagonista: "Capì che quella era la verità rimasta fuori da tutte le sue invenzioni letterarie; era così che la gente reagiva sul serio quando si trovava faccia a faccia con qualcosa che non aveva senso razionale. Ti sentivi come dissanguare a morte, ma nella testa invece che nel corpo... A costruire fantasie da far pubblicare su RIVISTE erano i MITOMANI e i CACCIATORI DI GLORIA; Quelli che si trovavano coinvolti in autentici fenomeni dell'occulto tenevano la bocca chiusa e mettevano mano alla cazzuola. Perché quando nella vita apparivano crepe di quel genere, bisognava in qualche modo porvi riparo; se non lo si faceva, c'era il rischio che si allargassero e che prima o poi ci cascasse dentro il mondo intero"
Dunque un King che, sotto la superficie di due storie abbastanza banali nello sviluppo (assai meno nei contenuti, specie la prima delle due), ricalca modalità grassetto una grandissima verità che risale al tempo degli antichi sofisti: “mai interessarsi di ciò che non è a misura di uomo”. Almeno questo è un vecchio adagio a cui chi scrive queste righe, e credo la quasi totalità degli scrittori del Fantastico, non può che discostarsi.

La locandina del miglior film tratto da 
uno dei racconti di TUTTO è FATIDICO.

Un altro racconto legato alla tradizione della narrativa fantastica è Autopsia 4, che apre in modo scoppiettante l'antologia. Si tratta di un racconto derivativo che fa forza su una spiccatissima e indovinata ironia nera, tale da renderlo fresco e moderno (direi squisitamente pulp). King si muove dallo spunto della tumulazione prematura, già portato in auge da Edgar Allan Poe nel 1844 con “La Sepoltura Prematura”, e lo sviluppa buttando un occhio a un celebre episodio con Joseph Cotten protagonista della serie Alfred Hitchcock Presenta. Ne viene fuori, ancora una volta, un racconto che non propone niente di nuovo, eppure diverte e intrattiene per effetto di un'ironia macabra che ben si miscela con l'opprimente stato claustrofobico aiutato dalla scelta di narrare il tutto in prima persona. Abbiamo infatti un uomo paralizzato da un veleno, incapace di muoversi e con le funzioni vitali così al minimo da esser giudicato defunto, che sta per esser sottoposto a un'autopsia. Riuscirà a salvarsi grazie a una graziosa dottoressa capace di far resuscitare anche i morti, alla faccia di una Moore di Marilyniana memoria. “Dottoressa, ma che cosa sta cercando di fare? Resuscitarlo a pugnette?” la frase che ben starebbe a farne da lancio. Esilarante. Non tra i più geniali racconti di King, ma da annoverare tra i più divertenti di sempre nella sua produzione. Detto per inciso, avrei chiuso la storia così come da lui fatto. Tamarrissimo.

Ancora horror con Le Piccole Sorelle di Eluria, vera e propria chicca per gli appassionati della saga La Torre Nera, costituendo il prologo della stessa. Scopriamo infatti il pistolero protagonista in un accadimento giovanile che sintetizza, più o meno, gli innumerevoli contenuti della saga. Soggetto dall'apparente intelaiatura western (c'è il pistolero con cinturone e colt, la landa desertica, il cavallo caracollante, i saloon e l'ufficio dello sceriffo), anche se ambientato in un contesto fantasy (siamo in un mondo, se vogliamo, parallelo al nostro), con fortissime contaminazioni horror legate alla tradizione del genere (vampiri impotenti al cospetto di oggetti sacri e incapaci di resistere alla luce del sole). Nella fattispecie il nostro viandante si troverà ad attraversare un villaggio fantasma popolato da creature mutanti, degli zombie intelligenti di colore verde, e soprattutto da un gruppo di streghe vampire che si dilettano a succhiare sangue spacciandosi da “crocerossine”. Niente novità, ma raccontato bene e con i dovuti brividi al punto giusto. Finale romanticone ben calibrato (l'amore come antidoto fallace alla dannazione) e qualche spruzzatina di erotismo pulp fanno da corredo. Senz'altro tra le storie più riuscite del lotto, ma più per la costruzione del contorno in cui si inserisce la storia che per la storia in sé e per sè o per i messaggi introspettivi di fondo (qua un po' carenti). Inquietante e con gusto dell'azione.

La copertina del racconto RIDING THE BULLET
uscito autonomamente per intuizione
dell'Agente MOLDOW,
una degli editor di King.

Direi che le cinque storie appena indicate sono quelle che spiccano da un'antologia che, per il resto, delude. Non che gli altri racconti siano scritti male o siano pesanti da leggere, questo no. King qua è scorrevolissimo e intrattiene anche nei racconti meno riusciti. Quello che non convince, a parte le idee che per tutta l'antologia tendono a non brillare per originalità, sono i soggetti penalizzati da storie che vere e proprie storie non sono (qualificandosi come frangenti di un qualcosa di più ampio) e altre che sembrano meri esercizi di stile. 
Da un punto di vista stilistico è molto buona la gangster story La Morte di Jack Hamilton che narra il tentativo di salvataggio messo in atto da una banda di rapinatori in favore di un complice colpito a un polmone, durante un inseguimento per mano della polizia, da un colpo di pistola vagante. Racconto lontano dalle tematiche kinghiane che ha più il sapore di esercizio di stile o di spunto per un qualcosa di più ampio. Sulla stessa falsa riga l'action story La Camera della Morte, in cui un giornalista americano, in combutta con un rivoluzionario comunista, si libera dai suoi carcerieri e scappa da una camera di tortura di uno Stato amazzonico. Immaginatevi la sequenza di Rambo 2 in Vietnam con il russo che utilizza la corrente elettrica come strumento per incoraggiare le confessioni e avrete in mente il racconto in esame. Ottimo stile e perfetto utilizzo dell'azione, ma soggetto privo di novità, trito e ritrito messo al servizio di un qualcosa che latita anche sotto il profilo introspettivo.

Presenta un soggetto di fondo molto interessante Tutto è Fatidico, che da poi il titolo all'antologia, pur risultando macchinoso nel suo sviluppo narrato in prima persona. E' un racconto lungo (circa settanta pagine) penalizzato da un ritmo non troppo sostenuto e da troppe digressioni. King torna sul tema della parapsicologia (si pensi ai vari Shining, La Zona Morta, Carrie, L'incendiaria), più in particolare sui poteri mentali capaci di influenzare i comportamenti del prossimo per piegarne la volontà. Dunque il tema del potere, a cui aggiunge l'utilizzo improprio di questo potere per mano di istituzioni pronte a sfruttarlo ufficialmente per l'interesse collettivo per celare, in realtà, sporchi affari politici.
Protagonista è un giovane disadattato di diciannove anni, che viene adocchiato e ingaggiato da una compagnia paragovernativa che provvederà a "programmarlo" e a impostarlo per raggiungere biechi scopi spacciandoli per eticamente corretti e socialmente dovuti. "Non si tratta semplicemente di un lavoro, ma di una vera e propria avventura... Non si lavora solo per denaro o per fare carriera, ma si lavora soprattutto per i vantaggi collaterali, in questo consiste il potere... Vogliamo aiutarti a usare il tuo talento per il progresso del genere umano". Così spiega il rappresentante della società che avrà facile gioco sulla mente instabile e debole del giovane in questione.
Il giovane prende coscienza del proprio dono, capisce di esser dotato di una facoltà assai poco comune. E' in grado, attraverso delle lettere e dei messaggi subliminali scritti in un modo percepibile a livello inconscio solo dalla mente del destinatario ("ho scritto parole che non avevo mai sentito e ho disegnato forme che non avevo mai visto, forme che nessuno aveva mai visto"), di indurre al suicidio o di provocare la morte delle persone senza destare sospetti. Ipnotizzato e vittima di una serie di lavaggi di cervello, il giovane viene convinto di agire nell'interesse della nazione (pensa di colpire serial killer, dittatori, spie e delinquenti), ma si renderà presto conto di essere un sicaro non convenzionale al soldo di un'organizzazione che persegue scopi privati, facendo morire in circostanze apparentemente naturali personaggi politici e persino il papa. Il rimorso, ma anche la presa di coscienza di non essere in grado di fare altro nella vita ("lo avevo fatto perché mi piaceva la sensazione che provavo componendo lettere speciali, la sensazione di avere un fiume di lava che mi scorreva in testa... Lo faccio perchè sono anch'io un drogato... Lo faccio perché mi viene un'odiosa e fottuta smania... Sono solo una delle tante pedine, la lente attraverso cui guarda il vero bombardiere. Il pulsante che preme"), porteranno il ragazzo a rivoltarsi contro il datore di lavoro imboccando una via che non ammette soluzione di ritorno.
Non convince, lo ribadisco, la scelta della narrazione. Il giovane parla della sua scialba e sciatta vita comune, tra sortite al cinema e letture di riviste pornografiche, alternate a visite e a passeggiate nel parco, in solitudine e tenuto lontano da amici e famiglia (proprio come avviene in una setta). Una sorta di diario che assume, in più punti, i tratti di un delirio paranoico e schizofrenico, tra sogno e realtà. Alla fine lo stesso protagonista non sa quante delle persone effettivamente morte siano decedute per sua mano, si percepisce infatti l'idea che i test e le analisi a cui il giovane è stato sottoposto abbiano finito per minargli definitivamente la salute mentale inducendolo a ritenersi responsabile per ogni evento verificato. Si tratta, in altri termine, di un elaborato che si presta a più interpretazioni e che, alla fine, appare piuttosto nebuloso.

Sono peggiori gli altri testi. Non particolarmente illuminanti Quella Sensazione che puoi dire solo in francese e La Moneta Portafortuna incentrati, seppur con prospettiva diversa, sul tema del dejà vù. Versione pessimista il primo (King costruisce una spirale ripetitiva versione loop che crea angoscia e suggerisce un evento infausto che si sta per consumare ma alla fine non viene raccontato) e in chiave ottimistica il secondo, a suo modo assai simile (concettualmente parlando) all'inizio de La Zona Morta. Niente di eccezionale, pure qua, pur essendo scritti bene, non si può che ribadire la sensazione di esser alle prese con elaborati stanchi e sprovvisti di guizzi geniali.

Deludente, eppur premiato quale miglior racconto del 1996, con tanto di perplessità dello stesso King, L'Uomo Vestito di Nero. Fiaba nera scritta per omaggiare Nathaniel Hawthorne e più specificatamente il racconto Il Giovane Signor Brown. King ricostruisce bene la campagna del 1914, facendo tornare indietro con la memoria un vecchio ricoverato in una casa di cura. Sono infatti le scenografie e la tranquillità della natura a colpire in questo elaborato che per il resto è di una banalità cosmica, tanto da sembrare un racconto scritto da un debuttante. Il protagonista racconta di aver incontrato il diavolo (uomo dagli occhi rossi, la cui ombra riduce in cenere l'erba) e di esser stato inseguito dallo stesso quando aveva nove anni. Atmosfera e soggetto dal retrogusto Grimm, trito e ritrito, sviluppato in modo banalissimo e tirato via, senza approfondimenti di sorta. E' “un banale racconto folclorisitico scritto in uno stile alquanto piatto” il giudizio reso dallo stesso autore, ma ritenuto sbagliato dai giurati del premio letterario O. Henry che lo hanno considerato il miglior racconto del 1996 (pazzesca questa decisione, credetemi). Fiaba nera che suona come stanca e per nulla originale.

Noiosissimi e lontanissimi dal fantastico Tutto ciò che ami ti sarà portato via e La Teoria degli Animali di L.T che vedono per protagonisti dei disgraziati a loro modo schifati dalla vita. Il primo è il dramma di un uomo che è sul punto di suicidarsi in solitudine in un motel e affida al caso le sorti della sua vita. King sostituisce il tradizionale lancio della monetina con una soluzione che, in fin dei conti, poco si distanzia dal vademecum dell'"ama non m'ama". Se le luci di una fattoria in lontananza si accenderanno la decisione estrema sarà rivista e sostituita dalla prospettiva di scrivere un libro con al centro le frasi sconce dallo stesso appuntate su un taccuino dopo esser state scovate, nel corso degli anni, nei muri dei bagni pubblici. Racconto che trasmette poco o nulla al lettore, solo noia. L'altro pezzo tratta le canoniche problematiche familiari che caratterizzano il rapporto moglie e marito, usando gli animali (un cane e un gatto) come i veicoli per tracciare l'incompatibilità caratteriale dei due sposi. Si tratta di un testo che l'autore del Maine reputa molto allegro e divertente, addirittura il suo preferito in Tutto è Fatidico. Dopo aver fatto familiarizzare i lettori con i personaggi, King inserisce un posticcio e truculento finale che rende fracassone il tutto. Non ci siamo, per i miei gusti, anche se non andrò a vomitare nelle pantofole di qualcuno.

Non si discosta dal giudizio negativo il racconto da cui è tratta l'immagine della copertina: Pranzo al Gotham Cafè. Anche qua siamo alle prese con un racconto lontano dal fantastico e privo di contenuti che vadano oltre la narrazione. King mette sul piatto della bilancia una vera e propria mattanza ingiustificata in cui dimostra bravura nel gestire l'azione e nello scandire adeguato ritmo messo però servizio di un soggetto che sembra elaborato da un aspirante scrittore o comunque da un neofita amante dello slasher. Un maitre d'hotel impazzisce sul posto di lavoro e si scaglia contro dei clienti seduti in una sala ristorante attaccandoli con un coltellaccio e inveendo contro un immaginario cane non presente sul posto (chissà se King si sia ispirato ai deliri del serial killer David Berkowitz che sosteneva di esser perseguitato da un cane millenario di nome Sam). La follia omicida non sarà sufficiente a salvare il matrimonio dei due ospiti del ristorante aggrediti, ma sarà solo utile a togliere di mezzo il fastidioso avvocato della moglie moderatore dell'incontro. "Dalla ferita sgorgò un getto violento di goccioline di sangue che decorarono la tovaglia di puntini. Vidi una goccia di sangue rosso vivo cadere nell'acqua del mio bicchiere e scendere verso il fondo lasciandosi dietro un filamento rosato, come fosse una coda. Sembrava un girino sanguinante." Questo il passaggio per l'illustratore del volume... la copertina è presto fatta.



"Penso che quello che dirige la baracca, Dio o chi per lui, deve essere uno a cui piace divertirsi. Vuole sempre vedere se terrai quello che hai o se riesce a convincerti a cercare quello che c'è dietro il sipario."

2 commenti:

  1. Ciao, piacere di conoscerti e di scriverti, l'amore per la letteratura e l'interesse per king mi ha portato sulle tue pagine. Complimenti per il blog, sei analitico e scrivi molto bene, le tue recensioni sono davvero preziose. Grazie. Tutto è fatidico l ho letto anni fa e la penso come te, siamo lontanissimi dalla potenza narrativa e dall' inventiva di "a volte ritornano" " scheletri". Ti premetto però che se ti troverai a leggere "il bazar dei brutti sogni" sarai costretto a rivalutare "tutto è fatidico"!

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    1. Grazie soprattutto per la lettura e per aver dedicato del tempo a lasciare un commento. Piacere mio. "Il bazar" non l'ho letto, le posso dire che presto leggerò "REVIVAL". Grazie ancora.

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