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domenica 18 marzo 2018

Recensione Narrativa: L'UOMO INVISIBILE di Herbert G. Wells



Autore: Herbert George Wells.
Anno: 1897
Titolo Originale: The Invisible Man: a Grotesque Romance..
Genere: Fantascienza/Fantastico - Mad Doctor.
Editore: Tascabili Economici Newton.
Pagine: 250..

A cura di Matteo Mancini.
Terzo grande classico nato dalla penna di Herbert G. Wells, dopo La Macchina del Tempo (1895) e L'Isola del Dr Moreau (1896), forse inferiore di qualità rispetto ai precedenti ma comunque tale da generare un vero e proprio sottofilone. Il trentunenne autore del Kent, di cui abbiamo già parlato in occasione della recensione del romanzo incentrato sulla figura del Dr Moreau, insiste sulla tematica Mad Doctor, proseguendo nel solco precedentemente scavato da Mary Shelley, con il suo Frankenstein (1817), e da Stevenson con Lo Strano Caso del Dr Jekyll e Mister Hyde (1886). Da Mary Shelley arriva la caratterizzazione di un giovane scienziato dedito agli sperimentalismi, che si estranea dalla vita sociale per seguire i suoi folli quanto geniali studi, così da abbandonare ogni affetto familiare (la morte del padre passa quale evento di scarso conto) e da vivere in funzione dello studio. "Non sentivo d'essere ormai solo, di aver rinunciato al mondo per avventurarmi in un universo di desolazione. Avvertivo la perdita del comune sentimento della solidarietà umana... Ecco le cose che conoscevo e amavo: i miei apparecchi e gli esperimenti approntati che attendevano di essere portati a termine." Così racconta Griffin, lo scienziato che ha messo in pratica i propri studi diventando invisibile dopo esser riuscito a far svanire un pezzo di stoffa e poi un gatto. Una caratterizzazione egoistica, a tratti asociale, che è ricalcata sul profilo psicologico del dottor Frankenstein di Shelley. Da Stevenson arriva invece la doppia anima del protagonista ovvero uno scienziato geniale che diviene un vero e proprio mostro. Non accettato dalla società (tremenda caratterizzazione plasmata da Wells, fatta di bigotti, venali, ottusi, codardi che si fanno forti solo in gruppo, ignoranti e mondani), finisce per creare scompiglio nelle vie inglesi di fine ottocento macchiandosi di omicidi e brutalità più o meno gratuite.

Wells dunque prosegue sul versante della fantascienza ma vira sempre più all'horror, qua a mio avviso prevalente rispetto al supposto tentativo di spiegare in modo ragionevole le scoperte dello scienziato. The Invisible Man assume pertanto la consistenza di una bizzarra ghost story in cui il fantasma di turno è sì invisibile, ma terribilmente materiale. Lo si può toccare e lo si può ferire, così come lui stesso può infliggere pugni ai passanti e inquietarli col suono della propria voce, rendendo sempre più flebile l'equilibrio mentale delle vittime. Una trovata per l'epoca piuttosto originale, tale peraltro da dar via a un vero e proprio sottogenere, che l'autore inglese stempera con un taglio ironico e surreale che rende il romanzo, nella sua tragicità, per lunghi tratti grottesco e altamente ironico. Emblematiche le supposizioni di alcuni grezzi personaggi locali che cercano di ipotizzare i problemi del protagonista, che va in giro protetto da sciarpe tenute in modo da occultare l'intero volto, sormontato da cappelli e occhiali da sole. "Quell'uomo è un pezzato: bianco qua e nero là, a chiazze. E se ne vergogna. E' una specie di mezzosangue... Ne avevo già sentito parlare. E poi nei cavalli, lo sanno tutti, è una cosa che succede comunemente." Ancora umorismo nero quando l'uomo invisibile si trova al cospetto di una manifestazione dell'esercito della salvezza che canta un pezzo che si intitola "Quando vedremo il suo volto?", mentre dei ragazzotti notano delle orme fangose che si dipingono a terra sulla strada e avanzano senza dar mostra del corpo che le imprime a terra. Da segnalare poi la continua sconfessione delle credenze popolari che vengon puntualmente disattese dai fatti, pazzeschi sì eppure terribilmente oggettivi come mostrano gli occhi increduli degli osservatori e tali da generare credenze ancor più folli di quelle reali: "ma che storia è questa? Che io sia dannato se questa faccenda non puzza di stregoneria... Ci vuole un bel ferro di cavallo per proteggersi da tipi come lui... Un uomo senza testa... Invisibile eh? Chi mai ha sentito una cosa simile?"

I temi che sottendono l'opera sono essenzialemente due, in perfetta linea con Shelley e Stevenson. Il primo dei due è il tema del diverso, un qualcuno che non viene accettato da una società dedita ai processi sommari, di mentalità non aperta ed egoista tanto quanto il mostro impazzito (scena clou il vicino del collega di Griffin che si rinchiude nella propria villa, ignorando le richieste di aiuto dello stesso per il timore di andarci di mezzo). Riccardo Reim scrive che "Griffin cerca e insegue cose che per gli altri non hanno alcuna importanza, perché i suoi interessi vanno al di là di quelli spiccioli della gente comune." L'interesse di Griffin è la ricerca scientifica, il superamento dei limiti umani verso un qualcosa di nuovo e mai raggiunto da nessuno. Griffin ambisce alla notorietà, al divenire un nome di riferimento nell'ambiente scientifico, non accorgendosi di ottenere l'esatto contrario. "Spesso gli eventi straordinari, che trascendono le umane esperienze, hanno sugli uomini molta meno presa che non i piccoli fatti tangibili" constata, a malincuore, l'autore. C'è chi vede in questo, ragionando a livello psicanalitico (tesi che non condivido molto), una sorta di spunto autobiografico di Wells (ci vedrei meglio un Lovecraft in una situazione del genere). Prosegue Reim scrivendo che "attraverso la diversità di Griffin lo scrittore grida la sua di diversità, esprime il suo insopprimibile disagio verso una società che fino a poco prima (del successo letterario, ndr) lo ha rifiutato in toto e che ancora deve risarcirlo a sufficienza." Griffin viene deriso, visto come un mostro e dunque isolato, costreggo alla fuga continua (un po' come il mostro di Frankenstein) fino a trasformarsi in un essere che, vedendo fallire ogni tentativo di riconquistare delle supposte sembianze umane (ovvero andare in giro vestito da capo ai piedi per proteggersi dal freddo e dalle intemperie, ma anche per comunicare con gli altri cittadini), si spoglia di ogni abito (da leggersi quale remora e freno sociale) e programma di adottare quello che lui definisce un "regno del terrore" (ovvero ritornare a quello stato naturale che Hobbes aveva visto come superato dal famoso patto sociale indispensabile per la vità in comunità). "Dobbiamo prendere una città, terrorizzarla e dominarla... Coloro che disobbediranno agli ordini saranno uccisi." Questi i progetti dell'uomo invisibile, generati da un cocktail fatto di vendetta (per esser stato rifiutato) e di onnipotenza, una sorta di corrispettivo  per il non poter più riconquistare le sembianze originarie e da addebitare a una società cattiva e menefreghista. Un'evoluzione, o involuzione, che genera l'incertezza in tutti coloro che si trovano al cospetto "del nulla", sempre ignari circa la presenza o meno del loro interlocutore, ma anche di difendersi da attacchi imprevedibili e impossibili da intercettare. Bella, al riguardo, la scena col clochard che sta per tradirle l'uomo invisibile svelando a un passante la storia dello stesso ma, mentre parla, avverte la presa di una mano sulla spalla, cambiando così discorso e sudando freddo nel sentire stringersi la presa. Un aspetto questo che si potrebbe anche ricollegare, sempre a livello psicanalitico, al tema dell'onniscenza divina e all'impossibilità di sottrarsi allo sguardo del grande assente che vede tutto ed è pronto a comminare pene (aspetto presente, se non ricordo male, ne L'Isola del Dr Moreau).
L'altro tema trattato da Wells è la condanna di una scienza priva di ogni morale, una sorta di monito per scongiurare i rischi connessi al comportamento dell'uomo che gioca a scimmiottare Dio senza porsi limiti di sorta. Frankenstein riporta in vita i morti, Moreau trasforma gli animali in umani, Griffin invece inteviene anch'egli sulla materia ma per rendere l'uomo una creatura invisibile. L'epilogo di tutto ciò non potrà che essere la ritorsione contro lo stesso dottore delle proprie scoperte. Griffin, nel tentativo di vendicarsi, finirà linciato da una folla forse più animalesca di lui. Un vero e proprio gregge di lupi travestiti da pecore che penseranno bene di eliminare il problema invece di comprenderlo e risolverlo, magari convincendo il dottore a rivelarare al mondo le proprie grandi scoperte così da diventare qualcuno, magari un luminare. Un tema attualissimo, basti vedere il film premiato con l'oscar nell'edizione di qualche settimana fa (La Forma dell'Acqua) in cui è presente un battuta del seguente tenore: "Non è importante quello che possiamo imparare da lui... ma che non imparino i nostri rivali". Anche qua il "disgraziato" di turno cercherà di allearsi con altri diversi (un barbone) o con dei colleghi che possano comprenderne il genio (e indirizzarlo), ma non gli andrà bene. "Mi sono detto: ecco, è un emarginato come me. E' proprio l'uomo che ti ci vuole..." Passaggi che, nell'esilaranza generale, rendono triste la vicenda dello scienziato e suscitano compassione e tenerezza.
L'invisibilità per Wells è allora una tragedia ("confidare il mio segreto a qualcuno avrebbe voluto dire ridurmi al rango di un fenomeno da baraccone") da cui non ci si può liberare, che perde presto i vantaggi che ne sono insiti ("Un uomo invisibile è un uomo potente") e lascia solo le controindicazioni. "Mi sentivo come potrebbe sentirsi un vedente, a piedi nudi e con indosso abiti che non facessero rumore, in una città di ciechi. Provavo un irrefrenabile desiderio di fare scherzi alla gente, di spaventarla, di dar loro manate sulle spalle, di gettare via i loro cappelli, di fare insomma tutte le pazzie che il mio nuovo, straordinario, stato mi concedeva" così Griffin spiega le iniziali sensazioni, da cui però giungeranno le difficoltà di trovare cibo, di girare per le strade senza esser additato, di parlare con un proprio simile e addirittura di mantenere la propria individualità. Come si può riconoscere una persona che non ha volto ne corpo? L'invisibilità porta inevitabilmente alla cancellazione dal registro della vita, a tramutarsi in una sorta di morto vivente o, meglio ancora, di uno spettro tangibile, l'ideale sintesi tra la tesi della vita e l'antitesi della morte per ragionare alla Kant con l'accento proprio della regione di Wells ovvero il Kent.

Un giovane HERBERT GEORGE WELLS,
ai tempi della stesura del romanzo scritto all'etè di 
31 anni.

Sul versante stilistico possiamo dire che il romanzo parte subito in quarta. Griffin è già ectoplasmatico e trova rifugio in un albergo, il Carrozza e Cavalli, per studiare un modo atto a riconquistare l'aspetto originario. Per tornare alla vita comune è costretto a ricostruirsi pezzo per pezzo, alla stregua di uno spaventapasseri con un naso da pagliaccio applicato sulla faccia, degli occhiali da sole per simulare gli occhi, un parrucchino, basette e baffi finti, un cappello che copre la fronte, guanti per avvolgere le mani e una sciarpa per occultare la bocca attorniata da fasce, vestiario che non toglie neppure a tavola o in salotto.
Romanzo breve, molto scorrevole e facile da leggere. Wells ha una prosa priva di fronzoli e leziosismi, tale da potersi definire contemporanea, da masse. L'Uomo Invisibile è un testo adatto a ogni forma di pubblico, compresi i giovani ragazzi, priva di tematiche sottintese o di ermetismi da decriptare.
Fin da subito un best seller, ha dato il là a una lunga serie di epigoni, primo tra tutti l'eccezionale La Cosa Maledetta (1898) di Ambrose Bierce, uscito appena un anno dopo e base di ispirazione per Il Colore Venuto dallo Spazio (1927) di Lovecraft. Lo scrittore americano trasla su una bestia invisibile la caratterizzazione del personaggio di Wells e mette in scena un combattimento identico a quello che contraddistingue il finale del romanzo del collega inglese, sfumando tuttavia la natura dell'essere invisibile. Lo stesso corrispettivo francese di Wells, il leggendario Jules Verne, con Il Segreto di Wilhelm Storitz (1910) ne mutuerà il tema, imitato da Renard con L'Homme au Corps Subtil (1913). Edmond Cazal scriverà addirittura un sequel apocrifo intitolato Joe Rollon, L'Altro Uomo Invisibile (1919). Un interesse così marcato da finire presto per coinvolgere anche la settima arte dapprima con traspozioni fedeli, tra le quali L'Uomo Invisibile (1933) diretto da James Whale, fino alle ispirazioni che ne "copiano" pressoché tutte le caratteristiche (l'andare in giro con vestiti e oggetti che restano sospesi in aria, l'utilizzare i poteri per divertirsi e spaventare le persone o per intrufolarsi in luoghi dove vi sono donne nude e via dicendo) con esempi a noi prossimi rappresentati da pellicole quali L'Uomo senza Ombra (2000) di Verhoeven e Il Ragazzo Invisibile (2014) di Gabriele Salvatores.

Per chiudere possiamo dire che L'Uomo Invisibile, pur se non troppo fresco per tematiche (essendo stato inflazionato dal cinema e dagli innumerevoli epigoni narrativi), resta una tappa fondamentale nello sviluppo della narrativa fantastica e dunque un romanzo capace di scrivere una pagina di questo fantastico mondo. Letto nel 2018 non impressionerà per quanto descritto, ma si tratta di un romanzo culturalmente da leggere soprattutto per chi si definisce un appassionato della letteratura del terrore e del fantastico (più che della sci-fi). Classico di un grande maestro del genere.

Scena da L'UOMO INVISIBILE del '33
di James Whale.

Scena da L'UOMO SENZA OMBRA del 2000
di Paul Verhoeven.

"Tutti provavano per lui la stessa avversione. La sua irritabilità, che avrebbe potuto risultare comprensibile a un intellettuale di città, appariva invece molto strana a quei pacifici paesani del Sussex. Il gesticolare scalmanato in cui ogni tanto lo sorprendevano; quell'incedere precipitoso... Il suo modo implacabile di respingere qualsiasi tentativo di approccio dettato dlla curiosità; il gusto per l'oscurità... Chi avrebbe potuto condividere un comportamento del genere? Quando passeggiava per il villaggio, la gente si faceva da parte, e quando era passato, i ragazzoni più spiritosi scimmiottavano il suo modo di fare misterioso, tirandosi su il bavero, incalcandosi il cappello o passeggiando nervosamente...
Perfino i bambini un po' ritardati avevano preso l'abitudine di gridargli dietro: «UOMO FANTASMA!» e poi se la davano a gambe, sentendosi tremendamente grandi."

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