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domenica 30 aprile 2017

Recensione Narrativa: RACCONTI di E.T.A. Hoffmann.



Autore: E.T.A. Hoffmann.
Genere: Selezione fantastica estrapolata da NOTTURNI e I FRATELLI DI SAN SERAPIONE.
Anno: 1817-19.
Edizione: Edipem, 1974.
Pagine: 284.

A cura di Matteo Mancini.
Eccoci qua a presentare un testo che ci permette di parlare di uno dei pionieri della “moderna” narrativa del terrore o, più generalmente, della narrativa fantastica. Possiamo senza ombra di dubbio definirlo come il precursore, in tal senso, nell'Europa continentale (a maggior ragione tra gli autori di lingua tedesca) secondo solo (da un punto di vista cronologico) a un pugno di colleghi a lui contemporanei. Stiamo parlando del “prussiano” Ernst Theodor Amadeus Hoffmann. Nato nel 1776 nell'odierna Kaliningrad (Russia), all'epoca Konigsberg, territorio prussiano perso dalla Germania dopo le infauste vicende connesse alla seconda guerra mondiale. Concittadino e coetaneo del famoso filosofo Immanuel Kant, deceduto ventotto anni dopo la nascita di Hoffmann, l'autore in questione incarna il fulgido esempio della contraddizione fatta persona. Plasmato da un'infanzia burrascosa, caratterizzata dai litigi tra l'austero padre, un avvocato, e un madre debole e isterica, patita per la musica, sviluppa presto una doppia personalità (elemento frequentemente presente nei suoi racconti), vivendo peraltro lontano dal padre che abbandona la moglie quando lui ha quattro anni (idealizzerà lo zio e il prozio paterno, quali figure maschili di riferimento). 

Sotto la luce del sole è l'irreprensibile e futuro uomo di legge, che dalle frequentazioni giuridiche sfocia nella carriera di assessore di tribunale, sotto l'abbraccio lunare, alla stregua di una bizzarra forma di licantropia, diviene il decadente sognatore che cerca di fuggire dalla realtà ricorrendo al veicolo dell'arte. Un dualismo che riproduce una perfetta sintesi kantiana, è il caso di dire, della dicotomia offerta dalla tesi paterna e dall'antitesi materna. Splendido modello dimostrativo per il non ancora teorizzato assioma “genio & sregolatezza”, E.T.A. Hoffmann, che cambia uno dei suoi tre nomi in omaggio a Mozart, manifesta capacità poliedriche di adattamento che hanno del portentoso. Pochi altri artisti riusciranno a esibirsi in diversi campi del sapere come lui. Emblematico, al riguardo, l'epitaffio che gli sarà dedicato sulla tomba: “UOMO NOTEVOLE COME MAGISTRATO, COME POETA, COME MUSICISTA, COME SCRITTORE.” La cosa, una volta passato a miglior vita, avrà presa negli ambienti culturali tanto da calamitare le attenzioni di scrittori, musicisti, pittori, registi teatrali, criminologi e psicoanalisti di grido, ivi compresi Lombroso e Freud, tutti intenti a studiarne la vita e a decriptarne l'opera.

Ligio, serio, inattaccabile di giorno, di notte diviene fonte diretta di leggende, più o meno veritiere, che prendono a girare nei quartieri sul suo conto. Si parla di un uomo irriconoscibile completamente privo di moralità, consumatore di punch e oppio, affetto da allucinazioni e, persino, pazzo con racconti che sembran usciti dai misteri di un'organizzazione segreta dedita alla magia e all'occultismo. Voci più o meno malevole ma incapaci di scatenargli contro un vero e proprio attacco, poiché le capacità dell'uomo non vanno mai in discussione e lo portano sempre a brillare in tutto ciò in cui si misura, nonostante una riconoscibilissima insicurezza nei propri mezzi e il terrore continuo di perdere la propria identità (per nulla inquadrabile, tra l'altro), che cerca di vincere adottando un atteggiamento provocatorio e privo di freni inibitori (celebri le liti, negli uffici burocratici, con i superiori imbufaliti per le irriverenti vignette firmate Hoffmann). 
Dopo essersi laureato, intraprende la carriera burocratica che lo porta a viaggiare in Germania e Polonia, dove contrae un matrimonio che non gli porterà gioie (avrà una figlia che morirà in giovanissima età) e che non gli impedirà di rendersi protagonista di qualche travolgente passione tra le braccia di altre donzelle. Ma non è questa la vita che fa al caso suo, come dice il suo più fedele alterego protagonista di una delle sue ultime storie “l'unica vita che conta per un artista è quella immaginaria, quella sognata.” 
Dapprima critico musicale diviene musicista, si esibisce al piano e anche al violino, poi addirittura compositore tanto che gli viene offerto il ruolo di direttore musicale dei teatri di più città della Germania orientale (Bamberga, Dresda, Lipsia) e persino quello di direttore d'orchestra, ma si diletta anche in veste di pittore (iniziato dall'italiano Molinari), disegnatore e caricaturista satirico (vittime delle sue vignette sono i superiori della pubblica amministrazione, cosa che gli porterà qualche grattacapo e un trasferimento di sede), recensore e addirittura regista e scenografo teatrale. Bravo, conosciuto in tutto lo stato nella veste di musicista, riesce a superarsi, a trent'anni suonati, in un ruolo per lui inedito, perché a corto di denaro, trasformandosi in artista a tuttotondo. “Bisogna che io faccia qualcosa: la fame fa male, soprattutto a mia moglie” rivela a un amico editore. Inizia così anche la carriera di scrittore e di poeta. Poche pubblicazioni gli permettono già di dar vita a un'ulteriore carriera che, in poco, lo porta a superare i fasti ottenuti come musicista. Scrive soprattutto negli ultimi otto anni di vita, prima di allora si ricorda la ghost story Il Cavaliere Gluck (1809) e poche altre opere in cui già appare uno dei suoi personaggi ritornanti (il compositore Kreisler, vero e proprio doppio dell'autore a cui quest'ultimo fa vivere le avventure che lo stesso avrebbe voluto vivere, caratterizzandolo alla stregua di una rockstar moderna che impiega droghe e alcool al fine di liberare l'intelletto dalle briglie della ragione per correre verso il traguardo dell'arte), salendo alle cronache, a partire dal 1813 (a trentasette anni), su giornali e riviste prima di veder raccolti i propri racconti nel 1814 nei Frammenti Fantastici alla Maniera di Callot. In quest'ultima raccolta spicca Il Vaso d'Oro, elaborato in cui la magia fiabesca regna incontrastata fungendo da mezzo che permette al protagonista di passare da Dresda alla mitica Atlantide. Appare fin da subito evidente il suo interesse per il fantastico, per le scienze esoteriche (alchimia, astrologia, mesmerismo e sperimentalismi che hanno nella telepatia e nell'ipnosi i loro centri di sviluppo) e per il macabro, ma a differenza di altri autori dell'epoca, Hoffmann opta per uno stile antiquato, dilatato all'eccesso, non lineare, dove gli sbalzi temporali sono frequenti, e dove la follia va spesso a braccetto con la cupezza degli animi dei vari protagonisti. Una forma di narrativa, talvolta sospesa tra poesia e prosa, che ai giorni di oggi potrebbe risultare pesante per il palato (senz'altro grezzo, ma di certo preferibile a chi scappa, come un indemoniato, alla vista di un volume, e non mi riferisco certo al Necronomicon) di un lettore moderno. I suoi protagonisti sono soggetti il più delle volte romantici e sognatori, che bramano amori impossibili e che, per questo, finiscono preda di epiloghi pessimisti, non di rado letali, con sotto trame dove irrompe un fantastico che altro non è che metafora della condizione umana. Sono gli anni in cui va di moda il romanzo gotico sdoganato, a fine settecento inizi ottocento, dai vari Walpole, Lewis e Radcliffe e in cui sta per giungere la ventata di freschezza che avrà in Mary Shelley e nel suo Frankenstein uno dei primi tentativi (pienamente centrato) di evolvere il genere in qualcosa di diverso. Hoffmann, dal canto suo, rimane piuttosto fedele al canovaccio del periodo, piazzando, in qua e in là, qualche zampata che farà la storia del genere (su tutti il racconto L'Uomo della Sabbia). Ma sono anche gli anni in cui, in America, Charles B. Brown, altro scrittore a cui piaceva miscelare il romanticismo a tematiche nere, si diletta nello stendere testi che hanno nel sonnambulismo uno degli snodi centrali per la soluzione di vicende controverse. Un aspetto, quest'ultimo, che verrà ripreso anche dallo stesso Hoffmann la cui produzione, come abbiamo sottinteso, è allineata a quella in voga nel periodo di riferimento. 
Nel 1816 da alle stampe il suo unico romanzo, Gli Elisir del Diavolo, seguito dalle raccolte Notturni (1817) e I Fratelli di San Serapione (1819). Si tratta ancora una volta di testi che vengono annoverati nell'alveo del genere fantastico. Nel romanzo abbiamo la figura di un monaco che chiude un patto con Satana, inevitabile il riferimento all'opera di Lewis, che lo porta a subire uno sdoppiamento della propria personalità e a commettere una serie di delitti. Sono però i suoi racconti che lasciano un'impronta più personale. Inizialmente incompresi e rifiutati, perché troppo morbosi, si distaccano dagli esempi autoctoni di lingua tedesca per la miscela esplosiva offerta dall'accostamento dell'elemento fantastico alla banale e ripetitiva quotidianità. Intrecci in cui ragione e follia, ironia e tragedia, realismo e grottesco danzando al ritmo di una musica a tratti coinvolgente e a tratti estraniante con un risultato finale che ripropone, ancora una volta, quel dualismo ossessivo che ha da sempre perseguitato l'autore e che si riverbera a trecentosessanta gradi in ogni sua narrazione. È grazie soprattutto a questi racconti che la fama di Hoffmann prende piede, persino fuori dai territori di lingua tedesca. Purtroppo per l'autore però, si tratta di un successo che giunge troppo tardi. Affetto da una malattia degenerativa al midollo spinale, lo scrittore muore nel 1822, all'apice della maturità creativa sul versante letterario, dopo aver fatto uscire tre delle sue opere più rappresentative: La Principessa Brambilla (1820), il grottesco e, se vogliamo, testamentario Opinioni sulla Vita del Gatto Murr (1819) dove dileggia (per mezzo di un gatto acculturato!?) la presunta autobiografia di un artista (il solito Kreisler) che si inventa un passato per spacciarlo quale vita propria e La Finestra d'Angolo del Cugino (1822) definito quale “esempio moderno di racconto senza trama”.

Già abbastanza famoso in vita, la sua opera viene tradotta già nell'ottocento in più lingue e inizia a circolare dalla Russia (Puskin, Dostoevskij e Gogol, tra gli ammiratori), alla Francia (Balzac, Hugo, Beaudelaire) e all'Inghilterra fino a varcare i confini europei e a giungere negli Stati Uniti. Qua trova in Edgar Alla Poe uno dei suoi più vividi sostenitori e divulgatori e si irradia, quale fonte di ispirazione per decine e decine di ideali allievi di penna (specie in Germania, Francia, Stati Uniti e Russia) confermando Hoffmann quale uno dei maggiori maestri del romanticismo grottesco e perturbante (come ebbe a dire Freud) del primo ottocento. In Italia sarà il premio nobel Pirandello a esaltare l'autore, dimostrandosi a parole e nei fatti, quale uno dei suoi più convinti difensori, tutto preso sullo studio della tematica del doppio (si veda Il Fu Mattia Pascal) e sul tema della dissociazione della personalità (si veda Gli Elisir del Diavolo) tutti aspetti germinali seminati nel terreno dell'arte dal maestro di lingua tedesca.
Chiudo con un ritratto tratteggiato dalla penna del filosofo Ernst Bloch: Hoffmann è lo scrittore del meraviglioso e il genio della fantasia del Romanticismo.

E.T.A. Hoffmann.

Parliamo adesso di questa selezione, datata 1974, a cura della EDIPEM di Novara. Edizione cartonata, scritta con caratteri piuttosto piccoli, formato tascabile ma ottimamente rilegato, prezzo economico, credo fuori catalogo. L'ho comprata a un mercatino di antiquariato anni fa, sotto le Logge di Pisa, insieme a moltissimi altri volumi tra i quali il Satyricon di Gaio Petronio e Rosa Alchemica di William Butler Yeats. 

I curatori, credo rifacendosi a un'edizione tedesca (Germania Est) datata 1958 a cura di Hans Mayer, propongono nell'occasione in un unico volume i racconti di Hoffmann inclusi nelle antologie Notturni e I Fratelli di San Serapione. Non potendo includere tutti i racconti, si pensi che la seconda antologia è uscita in quattro volumi con poco meno di trenta racconti all'interno, hanno pensato bene di proporre un risicato sunto con otto testi rappresentativi, tre dei quali estrapolati da Notturni (formata a sua volta da otto elaborati). Ne deriva quindi un volumetto indirizzato a chi voglia farsi un'idea della narrativa dell'autore prussiano, ma non certo consigliabile a chi voglia riscoprire l'intera produzione.

Partiamo nell'analisi dalle tre opere provenienti da Notturni. Si tratta di tre storie che hanno in comune un pessimismo tragico oltre ogni limite. In tutti e tre i casi, Hoffmann mette in scena giovani ragazzi che bramano di passione, ardenti, ai limiti dell'arte poetica, che decantano la loro passione in un romanticismo smielato che fa breccia, inizialmente, nel cuore delle donzelle, ma poi si raffredda e muore per ragioni che cambian di volta in volta. Si va dall'amore oggettivamente impossibile, a quello reso tale da un precedente matrimonio contratto dalla donna amata e maledetto da strani intrecci magici fino a quello respinto per assurde costrizioni autoindotte che portano alla rovina di entrambi gli amanti. Dunque è il tema dell'amore impossibile a emergere in questa prima parte di antologia, un vero e proprio romanticismo nero, con storie che passano dal fantastico puro all'intrigo giallocon venature gotiche fino al drammatico puro che coglie il suo apice ne Il Voto (Das Gelübde). 

Parto nell'analisi proprio da quest'ultimo racconto, quello che meno interessa sul versante fantastico. Si tratta dell'opera più lineare delle tre. Prende avvio con un antefatto, sviluppo del finale a cui si ricollega con un lungo (anche troppo) flashback centrale. Hoffmann costruisce fin dall'inizio un'interessante atmosfera di mistero, sembra di esser alle prese con un mystery in cui l'elemento paranormale è sul punto di materializzarsi da un momento all'altro a far pendere l'ago della bilancia sul versante racconto del terrore, evenienza però che non assume mai consistenza. Protagonista è una giovane suora che si presenta, accompagnata da una badessa, in una casa per essere ospitata in gran segreto. La poveretta, che tiene un velo per non mostrarsi neppure agli occupanti della casa (dice che il velo le cadrà solo con la morte), è in stato interessante, aspetto che alimenta congetture e strane voci legate al mondo diabolico e alla blasfemia (siamo nel 1817). A poco poco però si scopre che il diavolo non c'entra affatto in questa storia e il racconto prende presto una piega drammatica, anziché esoterica. Lo si comincia a capire piuttosto presto, quando un giovane militare, dichiarandosi padre del piccolo neonato, si presenta nell'abitazione e strappa via alla donna il pargoletto che la stessa, nel frattempo, ha partorito, accusandola di avergli rovinato la vita. Scopriamo anche, nel frangente, che la suora non nasconde alcun marchio diabolico sul volto. Il drappo cade nella disputa tra i due e mostra una faccia bianca, cadaverica, in cui non vi è traccia di emozione che non sia dolore e sofferenza. Il piccolo, che morirà poi di freddo nella fuga col padre (un Hoffmann tragico come non mai), non è frutto di alcun rapporto diabolico o peccaminoso, ma è il prodotto dell'unione tra la giovane (che in realtà è una contessa) e un giovane che ha la sventura di somigliare al promesso sposo della stessa, deceduto in battaglia prima di contrarre matrimonio. La povera ragazza, Ermenegilda, però vive una vita parallela, è convinta che il suo uomo possa ritornare anche dall'aldilà e lo attende con impazienza fino a convincersi di averlo raggiunto in sogno, proprio sul campo di battaglia, e qui di essersi unita a lui sotto la benedizione di un ministro di Dio per poi unirsi carnalmente così da concepire il frutto di un amore da crescere nel proprio grembo. Una convinzione pazzesca, ma che sembra trovare corrispondenza nelle curve della giovane. La situazione comincia a preoccupare i genitori, già allarmati dalla salute mentale della donna, completamente funestata dalla morte dell'uomo, ma ancora convincente al punto da spingere i parenti a valutare un'ipotesi poi non troppo lontana dallo “spirito santo” di natura biblica. “E se la viva cooperazione del pensiero avesse potuto avere anche un effetto materiale? E se uno spirituale incontro di Ermenegilda con Stanislao avesse potuto portarla nelle condizioni che a noi restano inesplicabili?” si chiedono in famiglia. Infine emerge la verità. Lo spasimante Saverio, che nel frattempo ha raccolto prove che dimostrano la morte di Stanislao liberando così Ermenegilda dal voto di castità, confessa di aver posseduto la ragazza mentre la stessa delirava convinta di unirsi al promesso sposo Stanislao. La rivelazione fa crollare il sogno della giovane, fa esplodere l'ira dei parenti e conduce a un finale tragico con i due che rinunceranno alle rispettive vite sociali, abbracciando l'esilio monastico, vedendo così svanire l'amore sia da un punto di vista sentimentale sia materiale (il frutto della loro unione, altro innocente in una storia pazzesca, muore a causa della disputa tra i due). 

La vera perla di questa prima parte di antologia è Der Sandmann, L'Uomo della Sabbia, racconto principe de Notturni e tra i più belli e importanti dell'intera produzione del maestro prussiano. In esso appare, per la prima volta in narrativa, un'automa che pronuncia solo due parole: "Eh... Eh". 
Un racconto strano, introspettivo, che fonda il romanticismo con il disagio interiore che volge in una spirale di puro terrore... Un incubo che parte da lontano, ad avviso di Freud, che studiò l'opera (unitamente a personalità del calibro di Lombroso, Nodier, Edgar Allan Poe, Beaudelaire, De Villiers, Dostoevskij, Puskin, Gogol e, non da ultimo a mio avviso, Collodi al secolo Lorenzini), direttamente dall'infanzia dell'autore. Hoffmann infatti, lo abbiamo già detto, fu generato da due soggetti l'uno agli antipodi dell'altro, una contraddizione che spicca in modo palese dalla sua stessa opera, con l'archetipo immaginario e immaginifico del Doppelganger che ritorna quale leit motiv dell'intera produzione. Una conclusione quella raggiunta da Freud, e in parte da Lombroso (padre dell'attuale criminologia) ne L'Uomo di Genio (1894), non per nulla sottoscritta dalla penna critica di Todorov, autore recentemente scomparso, il quale, in sintesi, nel suo studio sulla Letteratura Fantastica, tende a voler rimarcare la netta separazione tra la letteratura e le esperienze personali introspettive di chi la crea. Opinione quest'ultima che non ci trova troppo d'accordo, essendo inevitabile il passaggio tra l'io interiore dell'autore e l'io, se vogliamo, esteriore proiettato sulla carta stampata sottoforma allegorica. 
E così in questo Der Sandmann vediamo coesistere due storie che si intrecciano per darne vita a una, terribile, disullusa, senza speranza. Tutto ruota attorno alla leggendaria figura de l'uomo della sabbia (tradotto da Todorov ne l'orco della sabbia), corrispettivo dell'uomo nero dei racconti sussurrati ai bambini per farli andare a letto. Una creazione antica come il mondo, la stessa matrice che sta alla base del famoso Uomo Nero, o il Bau Bau di King trasformato in Boogey Man al cinema o, se preferite, nel Candy Man di derivazione barkeriana. 
Hoffmann prende avvio con lo stilema del romanzo epistolare, necessario per sentire dalla "viva" penna del protagonista tutto il disagio che lo soffoca dall'interno, portandolo a vivere di riflesso, se vogliamo, piuttosto che brillare di luce propria. Un personaggio che si si chiama come Hawthorne (altro grande maestro non ancora sbocciato, all'epoca, della narrativa fantastica dell'ottocento) e che resta infatuato, alla stregua di mosca rimasta impigliata nella ragnatela di un mostro a più zampe che intesse trame paralizzanti, da questa figura che sembra andare in giro di notte a strappare gli occhi ai bambini disobbedienti per darli in pasto a delle creature a metà strada tra le civette e i neonati. Una figura che il piccolo Nathaniel va a traslare cucendola su misura a un avvocato dai modi burberi, tale Coppelius, che col padre si diletta in esperimenti alchemici davanti a un forno dove cercano di creare un qualcosa che sembra esser un manichino. Attenzione a questo passaggio, perché l'alchimia, nonostante non lo veda scritto nei diversi commenti al testo, è una delle basi di questo racconto che sembra semplice e invece non lo è. Il protagonista, proprio come farà il Dr. Frankenstein nell'opera di Mary Shelley, a poco a poco, perde ogni contatto con la realtà alla ricerca di questo fantomatico personaggio che si sovrappone a quello di Coppelius e che, anni dopo, si convince di vedere nelle vesti di un rappresentante di barometri, occhiali e cannocchiali. L'uomo gli bussa alla porta di casa proprio il giorno prima di halloween (data centrale e collegata a certe credenze esoteriche). Hoffmann passa qui dall'artificio del romanzo epistolare al romanzo in terza persona, con un narratore che è uno scrittore che si rivolge direttamente ai lettori. Nathaniel cerca di convicersi dell'assoluta infondatezza della propria convinzione, l'uomo che ha cercato di vendergli la mercanzia è piemontese mentre l'avvocato era tedesco, eppure qualcosa di terribile si sta per materializzare. L'ossessione, a poco a poco, diviene realtà, col passaggio dal mondo della fantasia (quella dell'Uomo della Sabbia di cui alle fiabe) a quello del mondo alchemico con un tale Coppola (traduzione in italiano dal tedesco Coppelius), che altro non è che il diavolo (probabilmente) che torna a importunare il povero uomo ricalcando i modi del vecchio Coppelius. Nathaniel cade vittima di una forma, se vogliamo, di esorcizzazione al contrario che porta a plasmare in realtà gli incubi dell'infanzia semplicemente nel temerli in continuazione. Una sorta di "legge dell'attrazione", se mi concedete. 
Divenuto studente di fisica agli ordini del dr Spallanzani, ma anche scrittore di poesie e novelle, dimentica tutti i suoi cari e persino la fidanzata a cui ha promesso amore eterno, ma da cui non si sente compreso (la stessa non ne esalta la passione legata alla natura creativa, vorrebbe portarlo sul versante, per così dire, del comune vivere, mentre il "nostro" vuole evadere, fuggire dalla comune banalità, all'inseguimento di quegli esseri fantastici che lui stesso evoca con la ricerca smodata e ossessiva di una prova di riscontro circa la loro effettiva esistenza). Così si lascia convincere dal rappresentante (sinistra la scena in cui questo scarica occhi, occhi e occhi, sotto la forma di occhiali, sul tavolo del protagonista, una soluzione da vero e proprio precursore della narrativa horror) e acquista uno dei binocoli, in quanto è incuriosito dalla ragazza che abita nel palazzo di fronte al suo e che viene tenuta sottochiave dal padre (lo stesso dr Spallanzani). Così inizia a passare le proprie giornate a guardarla dalla finestra, mentre lei se ne sta ferma, immobile, per ore nella stessa posizione. Una situazione che sarà presa da modello da Ewers per il suo celebre Il Ragno o, al cinema, da certi film di Hitchcock e De Palma. A differenza però di queste opere, Nathaniel riesce a passare dal contatto visivo a quello fisico. Incontra la ragazza alla festa di ballo organizzata dal padre e, sebbene questa si dimostri fredda e piuttosto semplice nei modi di fare, Nathaniel se ne innamorerà perdutamente idealizzandola come la donna dei sogni. Passerà le ore a raccontarle i propri racconti e a dedicarle le proprie poesie sotto l'occhio vigile e soddisfatto del Dr. Spallanzani, ovvero il padre della giovane. La giovane Olimpia, questo il.nome, incarna così quella famosa donna col cervello (come ha modo di dire il protagonista a un suo amico che ne critica il suo essere apatica) che cerca la trascendenza in luogo dei piaceri materiali. "Le sue poche parole appaiono come geroglifici genuini del sui intimo mondo colmo d'amore e della sua alta consapevolezza della vita spirituale nella visione dell'eterna trascendenza. Ma voi, per tutto questo, non avete la minima sensibilità e queste non sono che parole al vento" spiega il protagonista. Sebbene tutti abbiano dei sospetti e la giovane venga vista come un qualcosa di alieno, nessuno si accorge che la stessa altro non è che un automa di legno, Lorenzini ne trarrà ispirazione per il futuro Pinocchio, generato dal concorso tra Spallanzani e il signor Coppola. Evidente il riferimento alchemico legato all'ideazione e creazione di un essere dalle parvenze umane, il c.d. homunculus, che qua prende consistenza materiale più che carnale, e che costituiva uno dei fini ultimi di quella che, all'epoca, era considerata una vera e propria scienza (l'altro fine era la scoperta dell'Elisir di di lunga vita, tema caro all'autore che scriverà poi Gli Elisir del Diavolo). Hoffmann va a legare le due storie, ovvero la leggenda infantile dell'uomo della sabbia con quella dell'automa, con il collegamento offerto dagli occhi ricercati dall'uomo nero, verosimilmente il diavolo (da evidenziarsi, al riguardo, quale elemento centrale il fuoco che prima uccide il padre del protagonista poi gli fa andare a fuoco la casa portando quest'ultimo a prendere in affitto la casa che lo metterà al cospetto dell'automa), strappati dalle orbite dell'automa e gettati sul petto del protagonista come un incubo ricorrente che, a un certo punto della vita, si trasforma in realtà. Un evento che farà precipitare Nathaniel nelle fauci della follia. Terribile il finale poi con Coppola che si ripresenterà mesi dopo al fatto, quando il protagonista sembra aver ripreso il senno e si è unito alla sua antica fidanzata, e, davanti a un gruppo di persone attonite intente a guardare una torre, si renderà protagonista di una profezia che, puntualmente, si verificherà nello sconcerto di tutti.
Der Sandmann dunque è un "piccolo" racconto ma di importanza pazzesca, un vero e proprio gioiello, da svecchiare nello stile ma ancora moderno nei contenuti, che anticipa molti archetipi della futura narrativa dell'orrore, da quello degli homunculus e dei mad doctor, a quello delle creature immaginifiche partorite dagli incubi adolescenziali (si pensi a Nightmare) fino a giungere alla follia omicida che si annida sotto la parvenza della normalità, il tutto con uno stile romantico, se volete un po' compassato e ripetitivo, tipico dell'epoca di riferimento. Grande classico, c'è poco da dire.

Palloso oltremodo, lentissimo nello scorrere e antiquato nello stile è invece IL Maggiorasco. Se ne L'Uomo della Sabbia Hoffmann, a suo modo, è stato capace di anticipare molti archetipi della nascente letteratura fantastica, in questa storia non si smuove dal classico, proponendo un elaborato che risente molto dei secoli trascorsi. Siamo alle prese con una novella gotica incentrata su un castello prussiano che passa di mano in mano a svariati eredi, che si fanno guerra tra loro, e al cui interno si è consumato un omicidio, figlio dell'avidità e della vendetta, mascherato da incidente e addossato, come scusa, all'azione di spiriti maligni attirati dagli esperimenti magici e astrologici praticati dal costruttore poi morto per l'improvviso crollo della torre in cui era solito scrutare le stelle. La particolarità del testo sta nel fatto, e questo influenzerà qualche giallo successivo ivi compresi quelli cinematografici italiani (a dimostrazione che nella grande letteratura fantastica, figlia dell'estro degli specialisti, c'è sempre qualcosa di buono), che il killer, autore di un delitto perfetto, svilupperà suo malgrado una bizzarra forma di sonnambulismo che lo porterà a ripetere le azioni (pure da morto, sotto forma ectoplasmatica) che lo hanno condotto a uccidere il padrone del castello per favorire il passaggio dello stesso nelle mani del fratello del defunto. Una controindicazione che permetterà a un membro del personale della magione di venire a capo del mistero legato alla caduta nel vuoto, proprio laddove era crollato il primo proprietario, del primo erede della costruzione, convinto che tra le macerie fosse sepolto un tesoro celato dal de cuius.
Hoffmann condisce, mi verrebbe da dire dilata, il tutto col suo canonico romanticismo, con una sotto trama che vede per protagonista un giovane ragazzo che si innamora perdutamente della baronessa diciannovenne sposa dell'ultimo erede del castello. Un amore impossibile, vuoi per l'alto lignaggio della giovincella vuoi per la maledizione che sembra gravare su tutti coloro che diventano eredi. La beffa per lui, che vivrà portando nel cuore il ricordo della moretta e un ciuffo di capelli donategli dalla damigella di corte solita accudirla, è che il suo amore, segretamente, è contraccambiato in virtù della passione messa al servizio dell'indubbio talento nel campo della musica. Un'abilità tale da sciogliere il cuore della giovane e in grado di farla evadere dalla monotonia del freddo castello in cui il marito, impegnato alla caccia ai lupi, l'ha portata.
Epilogo in cui imperversa il fosco pessimismo hoffmaniano con la tematica dell'amore impossibile che si intreccia con la morte e con un destino infausto da cui è impossibile sottrarsi.




SEGUE L'ANALISI DEL TESTO: PROSSIMAMENTE







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