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mercoledì 15 febbraio 2017

Recensioni Narrativa: FRANKENSTEIN di Mary Shelley.




Autore: Mary Shelley.
Genere: Narrativa del Terrore.
Anno: 1818..
Pagine: 200 circa, a seconda delle edizioni.
Prezzo: variabile a seconda delle edizioni.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Il destino di un intero genere, la letteratura del terrore, si consuma in una lontana data dell'ottocento (verrebbe da dire diabolica: 6.6.16), un giorno particolarmente funesto con vento e pioggia a costringere quattro personaggi a restare rintanati nella villa in cui sono ospitati, nella periferia di Ginevra. Tra le mura di Villa Diodati, questo il nome della magione, ci sono due mostri sacri della poesia inglese: Lord Byron e Percy Shelley. Con loro ci sono due giovani, non di medesima caratura artistica: la compagna di Percy, la prezzemolina Mary Wollstonecraft Godwin, poi meglio nota come Mary Shelley, e un medico di origini bientinesi che risponde al nome di John Polidori (era figlio del bientinese Gaetano Polidori, segretario di Vittorio Alfieri). I quattro, accompagnati dalla sorella di Mary, tra una baldoria e l'altra, impossibilitati a uscire a causa del maltempo, si intrattengono con una serie di racconti tedeschi sui fantasmi fino a quando, d'improvviso, a uno dei quattro viene l'idea di lanciare una sfida di scrittura creativa (sembra per scommessa). Due mostri sacri contro due pivelli, quanto meno all'apparenza, l'esito sembrerebbe scontato. Appunto, sembrerebbe perché i mostri sacri fanno cilecca, sono i due “pivelli” a scrivere la storia e a entrarvi in modo prepotente con due capolavori, inizialamente attribuiti ai due big ma poi, col tempo, riconsegnati ai loro veri autori. Due storie capaci di modificare e rivoluzionare l'intero genere (gotico, ai suoi primi vagiti con Lewis e la Radcliffe) creando due fortissimi stereotipi che avrebbero invaso migliaia di pagine e pagine di romanzi altrui fino a giungere al cinema in tutte le salse (dalle parodie alle trasposizioni più o meno fedeli). Il vampiro da una parte, Frankenstein e i mad doctor dall'altra. Qui ci interessiamo di questa seconda figura, che Mary Shelley plasma facendo forza delle sue esperienze in Italia. Non si contano i soggiorni avuti nella nostra penisola da Mary e dal marito Percy (poi deceduto tra la costa pisana e quella viareggina). Non a caso, il tema dell'Italia è reso esplicito nel romanzo, con la madre del dottor Frankenstein che viaggia col marito in Italia, prende sotto la propria protezione una giovane di Milano (aspetto che ricorda l'atteggiamento del padre di Mary con la figliastra ma anche l'atteggiamento di Percy con la nipote di Mary), inoltre è decisivo, per la formazione culturale del mostro, l'apporto reso da una famiglia decaduta (ricorda un po' la crisi finanziaria di Percy) che ospita una ragazza turca fuggita da Livorno a cui viene insegnato il francese col mostro (un bambinone gigante che si sveglia da un giorno all'altro e che non ha alcuna cognizione di cosa sia, pur avendo intelligenza umana) che impara di nascosto la lingua umana standosene rintanato in una baracca. Il contenuto però maggiormente legato all'Italia, come spesso avviene in certe opere, non è quello che si coglie prima facie. Si tratta invece di un omaggio molto profondo. Mary Shelley infatti, che ha alloggiato a Pisa in compagnia del marito, è stata probabilmente informata degli esperimenti tenuti da un certo Andrea Vacca Berlinghieri e lo ha, sicuramente, incontrato durante i suoi viaggi. Chi era Vacca Berlinghieri? Era un chirurgo, che ha studiato anche in Francia e Inghilterra, con passioni variegate che comprendevano la chimica, la matematica, la fisica, l'astronomia e l'esoterismo (un po' come il Dr Frankestein che, a sua differenza, è uno Svizzero ma, guarda caso, nato in Italia, in quel di Napoli... proprio come alcuni figli della Shelley tra i quali una certo Florence, maschio a differenza dell'ominima moglie di Bram Stoker, omaggio palese alla Toscana e più in particolare a Firenze dove è nato). Soggetto alquanto bizzarro, ma non troppo se contestualizzato in un certo tessuto sociale, che fece erigere un tempio di natura massonica (anticlericale) in onore del padre in quel di Montefoscoli (periferia pisana). Atteggiamenti che portarono i prelati a considerarlo sotto un aura malefica fino a trovare stratagemmi particolari per benedire la via d'accesso a questo tempio laico, evidentemente considerato diabolico. Pensatore illuminato, progressista, convinto sostenitore della necessità di allungare la vita degli uomin, eventualmente anche con il ricorso a trapianti (pratica all'epoca vietatissima dalla Chiesa), Vacca Berlinghieri aveva anche passioni alchemiche da valutarsi però nel senso più alto della disciplina ovvero nella ricerca e conquista dell'immortalità terrena (la famosa pietra filosofale da leggersi quale elisir di lunga vita, tanto in voga nell'epoca). Si dice che passasse molte ore a sezionare i cadaveri con la speranza di rianimarli con il galvanismo (quindi col ricorso all'elettricità come si vede in alcuni film su Frankenstein e come invece viene omesso nel romanzo). Qualcuno è arrivato a scrivere che abbia persino comprato pezzi di cadavere e abbia realizzato, nel suo laboratorio sotterraneo, un essere antropomorfo nella speranza di portarlo in vita. Beh, più ispirazione di questa... A onor del vero, però, Mary Shelley dirà di essersi ispirata a uno suo sogno/incubo, senza aggiungere altro che possa portare a Vacca Berlinghieri ma per compiere il passo basta unire i punti con una retta immaginaria... La provincia pisana quindi che sale in cattedra nella formazione del romanzo del terrore di caratura mondiale e che, stranamente, non viene quasi mai esaltata nel territorio locale.

Il pisano ANDREA VACCA BERLINGHIERI
vero ispiratore del DR. FRANKENSTEIN

Vediamo però chi era Mary Shelley. Quando scrive Frankenstein, che poi esce due anni dopo rispetto alla sfida (1818) in forma anonima (ma con prefazione di Percy Shelley), ha appena diciannove anni, dunque giovanissima. Arriva da una famiglia altolocata, figlia unica di un filosofo ispiratore del pensiero anarchico, e secondogenita di una delle prime femministe della storia che morì dieci giorni dopo averle dato la vita. Inevitabile quindi lo spirito libertino di Mary, che sposa il radicale Percy Shelley (già sposato, ma liberato dal suicidio della moglie, tradita a ripetizione e con incontri tra Percy e Mary sulla tomba della madre di quest'ultima, al cimitero: quando si dice il romanticismo gotico!?). Curiosa, intraprendente, assetata di sapere e aperta di mente, forma con Percy (ex allievo del padre) una coppia moderna, con i due che si concedono molte scappatelle e rapporti promiscui fregandosene della società bacchettona dell'epoca e soprattutto dei creditori sempre più sulle tracce di Percy (carico di debiti). Viaggiano in Francia, Svizzera e Italia, senza badare a spese ed eccessi, pur essendo a corto di disponibilità. La fortuna però non è benevola con la povera Mary, la flagella nei rapporti più cari. Le porta via la madre quando è ancora piccola, quindi il marito a ventiquattro anni e i figli in tenera età (sopravviverà il solo Florence). Il marito naufraga e muore affogato nella tratta Livorno – La Spezia e cremato sulla spiaggia di Viareggio. Aiutata dai coniugi Hunt, amici di Percy, dopo un soggiorno di un anno a Genova torna in Inghilterra, aiutata dal padre del marito. Qui continua ad avere rapporti molteplici (tra gli altri con Prosper Merimee, l'autore della Carmen), ma senza più sposarsi. Resta con la sola compagnia di Florence Shelley, cadendo in crisi economica nonostante le riedizioni delle opere del marito defunto e pur continuando a scrivere. Frankestein, inizialmente ignorato, prende piede in virtù di un'entusiasta recensione di Walter Scott (l'autore di Ivanhoe) e conseguente riedizione, modificata, nel 1831 a nome Mary Shelley, diventando un best seller ma con diritti ceduti a una potente casa editrice. Mary scrive un altro notevole romanzo, meno noto, che apre la via al romanzo catastrofico fantascientifico (ancora una volta pionieristica) e che si intitola L'Ultimo Uomo, The Last Man (1826), concepito anni prima a Napoli (definita da Mary “il paradiso abitato dai demoni”), e una ventina di racconti e romanzi storici o biografici. Funestata da una serie di emicranie che sfoceranno in un tumore al cervello, cessa di scrivere nel 1839. Muore, dopo anni di malattia, nel 1851.

Mary Shelley

Frankenstein ovvero il Prometeo Moderno è, a tutti gli effetti, un capolavoro da cui emerge la sensibilità femminile. Generato dalla penna della giovane Mary Shelley, nell'epoca della nascita del romanzo gotico avviato da Walpole e proseguita, soprattutto, da Matthew G. Lewis e da Ann Radcliffe, costituisce un romanzo che, oltre a creare un personaggio immaginifico che diverrà uno stereotipo del genere, gioca su più versanti e detta una nuova via al genere. Su quest'ultimo aspetto spicca subito il prologo, che poi è ricollegato all'epilogo, addirittura nei ghiacci del nord con una nave attorniata dagli iceberg e con due strane figure, di cui una gigantesca, che si ricorrono su slitte trainate da cani esausti. Questo il prologo su cui la Shelley innesca attraverso una struttura originale l'intera vicenda, con una storia (quella del dottor Frankenstein) che si inserisce in un'altra inizialmente parallela (quella dell'esploratore pioniere Walton che cerca di raggiungere il nord del mondo) e con le due che poi si intrecciano, grazie alla figura del mostro che esce dal racconto del dottore (che fin lì potrebbe essere anche un resoconto di un pazzo) per irrompere e materializzarsi sotto gli occhi dell'esploratore una volta deceduto il dottore in concomitanza dei fallimenti dei propositi di tutti e tre i soggetti. Un modo di narrare questo in cui la Shelley cambia spesso il punto di vista, facendo narrare i fatti, ora con la forma del romanzo epistolare ora con la narrazione classica ora con i flashback continui, ai distinti personaggi così che, come in un Rashomon ante litteram, si finisca sempre per rimescolare le carte in gioco in modo da far cambiare la percezione dei fatti e delle condotte agli occhi del lettore. Una forma questa che rende il romanzo, a mio avviso, assai superiore rispetto al successivo Dracula di Bram Stoker, anche perché impreziosito di una melanconia e di una persistente aura di sconfitta che davvero intristisce il lettore e, al contempo, lo attacca alle pagine pungolato dalla curiosità figlia della fatidica domanda: “E poi cosa succede?”

Frankenstein è il romanzo della solitudine, una condizione che accomuna i tre soggetti principali. Il dottore che vive sognando di trasformarsi in una sorta di Dio, quale figura del moderno mad doctor, e per farlo si isola dai suoi cari, inseguendo un'impresa che riuscirà a compiere ma che ricadrà su di lui come un macigno per l'incapacità o, forse più propriamente, per la paura di sostenerla. È lo stesso Frankenstein (questo il nome del dottore originario di Ginevra che costruirà, in Germania, il mostro) a dire di essere interessato, piuttosto che alla struttura di linguaggio o alla politica, “ai segreti del cielo e della terra... alla ricerca del metafisico”. È quello che David Punter, nella Storia della Letteratura del Terrore, definisce “un puro indagatore della verità” alimentato da passioni legate all'alchimia, all'esoterismo, poi combinate con la chimica, la scienza e la matematica, e con il fine ultimo della gloria di rendere l'uomo vulnerabile solo a una morte violenta. E così diviene come un Paracelso che cerca di creare il suo homunculus, guidato però, contrariamente a quanto si è soliti leggere in più testi, da una procedura che non è né esoterica né alchemica. Frankenstein, questa è la caratteristica del romanzo che lo pone anche come opera di fantascienza, realizza il suo essere antropomorfo con un vero e proprio processo scientifico, in un laboratorio. La Shelley ne cela i metodi, con un modo tipico della narrativa questa volta esoterica, ovvero come monito per proteggere l'umanità dall'orrore che si cela dietro alla sua scoperta, così da impedire che altri ne possano seguire il percorso. In realtà l'orrore di cui si parla è soggettivo, è più una paura per il diverso e il difforme che un pericolo insito nella natura della creatura ed è proprio questo preconcetto a trasformare un mostro formale in mostro reale. Frankenstein mette insieme una serie di pezzi di cadavere trasformandoli in parti di una nuova creatura, che nasce alla stregua di un neonato per conoscenze ma con l'intelligenza di un adulto. Non è ben chiaro come riesca ad animarla, ma il suo è un vero essere umano che ha un'anima (in questo è addirittura superiore al Golem ebraico, che è fatto con la stessa sostanza dell'uomo ma è sprovvisto di anima, figurarsi dell'homunculus che è invece blasfemo). La sua è una creatura brutta, sì, ma perfetta, addirittura geniale, che riesce a imparare a scrivere semplicemente spiando gli uomini e leggendo i classici che trova in giro, sviluppando sentimenti umani paragonabili agli altri due principali protagonisti della storia. Ciò che lo trasforma in assassino, peraltro alla fine pentito con un'onta che lo porta a optare per un finale tragico (poi non mostrato e dunque romanzo da considerarsi aperto a un sequel che non avrà) che ne dimostra la nobiltà di fondo, è l'atteggiamento diabolico delle persone che trova sul suo cammino. È un rifiutato sociale, un reietto, osteggiato e minacciato di continuo, picchiato, addirittura ferito da un colpo di pistola sebbene abbia salvato una bimba. Un essere costretto a vivere come un animale e alla fine a ribellarsi. Persino il suo creatore lo odia, e lo odia fin da subito, quando non dovrebbe averne motivo, solo perché gli sembra troppo brutto per poterlo presentare in pubblico. Per il mostro non c'è possibilità di inserimento, è una vittima degli eventi più che essere l'artefice delle sofferenze altrui. A differenza degli altri due personaggi, che finiscono nella solitudine per ricercare la gloria (anche l'esploratore si lamenta di continuo di essere solo, e sogna di avere la compagnia di un amico con cui allietare il proprio viaggio, lo troverà in Frankenstein caricato a bordo nave da una banchisa) al mostro la compagnia viene negata. Non gli viene neppure concesso, come invece Dio fa con Adamo, la creazione di una compagna. Il Dottor Frankenstein dapprima sembra acconsentire a questa richiesta, poi però teme la natura e la superiorità fisica delle sue creature (che hanno una resistenza, una stazza e una forza di gran lunga superiore a quella umana) e decide di distruggere la propria opera scatenando l'ira del mostro che non attenderà molto a uccidere tutti i cari del dottore. Glaciale la parte in cui Frankenstein ragiona sulla creazione di un mostro di sesso femminile e poi decide di non portarla a termine perché potrebbe essere la ragione prima da cui possa sfociare una stirpe di esseri capaci di soppiantare la razza umana. Sembra quasi un ragionar su temi che, a distanza di un centinaio di anni, avrebbero fatto presa sulla società europea portando all'antisemitismo e all'ideologia della razza superiore contrapposta alle supposte inferiori.
Molti gli omaggi che la Shelley dissemina nel testo, dalle poesia del marito al Paradiso Perduto di Milton, col mostro che si paragona spesso a Satana considerandosi però di gran lunga più sventurato per non poter contare neppure sul supporto di un altro essere.

Ecco allora che è giusto definire il romanzo come un'opera decadente che Punter, a nostro modo di vedere, a ragione definisce “un libro sul rifiuto dello strano, sia a livello sociale che psicologico”.
Divenuto un classico soprattutto da metà dell'ottocento in poi, grazie a elogi di autori quali Walter Scott, l'autore di Ivanhoe (“L'opera da in modo eccellente l'idea del genio originale dell'autrice e del suo felice potere d'espressione”), e John S. Le Fanu (“E' un romanzo in cui si aprono le porte che sarebbe stato preferibile lasciare chiuse e in cui il mortale e l'immortale fanno conoscenza prima del tempo”) ha ispirato circa cento film, di natura diversa, e con sceneggiature che ne hanno spesso modificato le caratteristiche sia fisiche sia di origine. E così si son visti mostri lenti e impacciati (quando invece il mostro della Frankestein è più che atletico), altri che parlano in modo sconnesso (mentre con la Shelley il mostro è quasi intellettuale), altri che sono malvagi perché il cervello di cui sono dotati era di un criminale e altri ancora animati attraverso un processo spiegato punto su punto quando invece la Shelley ne ha occultato l'origine (da qui deriva l'idea delle scariche elettriche). Per tutte queste ragioni, oltre per la natura di classico e soprattutto per il piacere nel leggerlo (pur essendo straziante per il dramma che andranno a vivere creatura e creatore), deve esser letto e conservato nella biblioteca di ogni amante della lettura (figuriamoci poi se si sta parlando di fan del fantastico).

L'incontro sulle ALPI
tra FRANKENSTEIN e la sua creatura
nel film FRANKENSTEIN (1931)
di Whale.

Infelice! Condividi dunque la mia follia? Hai bevuto anche tu la bevanda velenosa? Ascoltami: lascia che ti riveli la mia storia, e getterai la coppa lontano dalle tue labbra!”



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