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sabato 13 giugno 2015

Recensione Cinema JURASSIC WORLD di Colin Trevorrow



Regia: Colin Trevorrow.
Anno: 2015.
Genere: Fantascienza.
Prodotto: Patrick Crowley e Frank Marshall.
Produttore Esecutivo: Steven Spielberg.
Budget: 150 milioni di dollari.
Soggetto: Rick Jaffa e Amanda Silver.
Sceneggiatura: Rick Jaffa, Amanda Silver, Colin Trevorrow e Derek Connolly.
Interpreti Principali: Chris Pratt, Bryce Dallas Howard, Ty Simpkins, Nick Robinson, Vincent D'Onofrio e Jake Johnson.
Fotografia: John Schwartzman.
Colonna Sonora: Michael Giacchino.
Durata: 130 minuti.

Commento di Matteo Mancini.
Era il lontano 1993, un pomeriggio di settembre, quando, in compagnia di due amichetti dodicenni, vidi in un cinema di Livorno Jurassic Park. Fu amore a prima vista tanto che convinsi mia madre a comprare una serie di inserti De Agostini che uscirono in edicola poco dopo il film, finché un giorno non mi vidi rispondere che quella roba non serviva a niente e che non mi sarebbe stata di alcun aiuto per lo studio. Così fine della collezione, che comprendeva anche uno scheletro gigante fosforescente al buio di un T-Rex, da costruire pezzo per pezzo come il galeone di Dylan Dog. In compenso però uscì l'album delle figurine e Piero Angela fece trasmettere dalla RAI una catena di documentari sui dinosauri in uno speciale dal nome inequivocabile: Il Pianeta dei Dinosauri. Uscirono poi film clone, di livello assai inferiore, come Carnosaur (1993) o addirittura la parodia di Jerry Calà Chicken Park (1994). Qualche anno dopo entrai in possesso di un bomber nero griffato "Jurassic Park", che possiedo e indosso ancora, con l'immagine sul retro di un Velociraptor. Fu dunque uno degli ultimi film che fece, a suo modo, epoca, segnando anche il passaggio tra la computer grafica, allora agli albori, e l'effettistica legata sia all'impiego di robottoni giganti, un po' come fatto quasi venti anni prima da Spielberg in occasione de Lo Squalo, sia alla vecchissima stop motion ideata da Harryhausen. Non mancarono i sequel, sia dei cloni che dell'originale. Ho ancora viva nella memoria l'immagine della locandina de Il Mondo Perduto (1997) incollata su un cartellone stradale in quel di Cecina. Non lo andai a vedere al cinema e feci bene, anche perché quando lo guardai in televisione non mi entusiasmò come il primo. Lo stesso Spielberg, probabilmente, non ne fu soddisfatto, peraltro stravolse del tutto il secondo romanzo di Michael Crichton, padre letterario della saga, andando a effettuare una poco felice commistione tra Io Sto con gli Ippopotami e King Kong. Ancora meno convinto pur se, a mio avviso, divertente fu il terzo episodio, uscito a distanza di quattro anni dal secondo. Rispetto ai precedenti passò quasi inosservato nei cinema (fu addirittura candidato al razzie award quale peggior sequel della stagione). Determinante, in negativo, fu la scarsa cura della sceneggiatura (sviluppo risicatissimo, durata addirittura inferiore all'ora e mezzo, con sequenze scartate dai primi due capitoli), una serie di ingenuità e soprattutto il passaggio di consegne di Spielberg a favore di un suo galoppino che avrebbe dovuto già girare Il Mondo Perduto: Joe Johnston. La costante parabola discendente intrapresa della saga, comunque sempre capace di recuperare i fondi spesi, non spinse Spielberg alla resa, anzi... Fu subito intavolata una trattativa prima con Alex Proyas, il regista de Il Corvo, che avrebbe voluto coinvolgere i rettili marini, quindi direttamente con Michael Crichton, per dare il là al quarto episodio. La scomparsa prematura dello scrittore americano, avvenuta a inizio 2008, fece naufragare il progetto proprio nel momento in cui era stata dichiarata la volontà di stenderne il copione. Solo a distanza di sette anni, quattordici dal terzo episodio e addirittura ventidue dal giorno di uscita del primo, il quarto capitolo ha visto la luce, per volontà di un giovane regista capace di convincere Spielberg con una sola pellicola. Nasce così Jurassic World.



E così a 22 due anni da quel settembre del 1993 e a quasi due dalla mia ultima presenza in sala (vidi Rush di Ron Howard), mi rilancio nei cinema per non perdermi questa sorta di remake. A Pisa è in programmazione solo al Cinema Odeon di Piazza San Paolo all'Orto, quello delle quattro Repubbliche Marinare, per via dei nomi attribuiti a ognuna delle quattro sale che lo compongono. Scelgo la versione 2D che è in programma in Sala Venezia (in sala Pisa c'è la 3D) e attendo, essendo giunto con un anticipo di quaranta minuti. Probabilmente sono uno dei pochi reduci della vecchia guardia a essere ancora presente e, in tutta sincerità, non sono neppure tanto convinto che sia un film di valore, ma la presenza di Steven Spielberg mi ha convinto ad acquistare il biglietto. Sebbene sia venerdì, sulle prime, non sembra esserci una gran calca. Molti genitori con prole al seguito (un po' come successe a me nel lontano '93), qualche coppia di fidanzatini e un discreto caldo umido a corollario per la leggera pioggerella scesa nel pomeriggio. Sono il terzo a entrare in sala, in scia però ai primi due, sarò poi il primo ad abbandonarla non appena sullo schermo correranno via i titoli di coda. Ricevo in sorte un biglietto che pare essere un simpatico scherzo del destino: poltroncina 22, come gli anni che separano il film dal primo capitolo, fila H che sarà poi la lettera su cui, a fine film, si poserà il grande protagonista del primo capitolo per lanciare il suo tremendo urlo al cielo, quasi come una sorta di esultanza visto l'epilogo finale, a simboleggiare il successo sia sull'uomo che sulla sua scienza, rappresentato dalla ripresa del controllo dei dinosauri sull'isola stuprata da chi cerca sempre di tramutarsi in Dio. Sono appena le 20.40, la sala è abbastanza vuota penso quasi anche a scegliermi la poltroncina nel caso in cui il cinema resti vuoto e invece comincia a entrare un gran numero di persone. In un amen la sala si riempie e calano le luci dopo il trailer del nuovo Terminator in programmazione a luglio. Lo spettacolo ha inizio...

Il regista COLIN TREVORROW.

Il film viene prodotto, grazie alla collaborazione di Steven Spielberg, da una serie di individui che hanno nell'ex regista Frank Marshall e nell'ex direttore delle seconde unità Patrick Crowley i soggetti più rappresentativi. Entrambi ormai da anni nel mondo delle produzioni cinematografiche vantano un passato importante anche in tutt'altra veste. Marshall, da non confondere con Neil Marshall (quello di The Descent), è un fedelissimo di Spielberg (a cui ha fatto da aiuto e da direttore delle seconde unità in svariati film, non ricoprendo più questo ruolo da Seabiscuit) per aver prodotto film quali I Predatori dell'Arca Perduta (1981), Poltergeist - Demoniache Presenze (1982), L'Impero del Sole (1987), Il Sesto Senso (1999), Signs (2002), SEABISCUIT - UN MITO SENZA TEMPO (2003), Young Black Stallion (2003) The Bourne Supremacy (2004), Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo (2008) e molti altri ancora in una carriera che ha avuto inizio a partire dagli anni '70. Ha inoltre ricoperto il ruolo di produttore esecutivo in una lunga serie di film di grosso successo con perle assolute quali WAR HORSE (2011), Cape Fear -  Il Promontorio della Paura (1993), Ritorno al Futuro III (1990), Indiana Jones e l'Ultima Crociata (1989), Ritorno al Futuro (1985), Ai Confini della Realtà (1983), I Guerrieri della Notte (1979) e molto altro ancora, tentando con minor fortuna persino la carriera di regista (Aracnofobia, Congo, Alive). Una carriera quindi prestigiosa per un professionista che è stato primo protagonista nella storia del cinema degli ultimi anni. Più giovane e dunque meno qualitativo, ma non secondario, il curriculum di Crowley che ha inizio nel 1979. Parte subito come direttore della seconda unità de La Signora in Rosso (1979) lavorando in tutta una serie di B-Movie, per tutti gli anni '80, tra cui anche i due sequel di Robocop con i quali inizia ad avere ruoli importanti sotto il profilo produttivo, producendo il terzo capitolo.Compie il salto di qualità grazie alla saga avviata da The Bourne Identity (2002) che produce integralmente, intervallandola con alcune pellicole minori quali I Poliziotti di Riserva (2010).
Sono 150 milioni i dollari che i due, con la benedizione di Spielberg, affidano a Colin Trevorrow per la realizzazione del film, qualcosa che suona quasi quanto il triplo del budget avuto per Jurassic Park. E' una somma importante messa nelle mani di un regista semisconosciuto che si è fatto apprezzare con una sola pellicola indipendente, peraltro autoprodotta: Safety not Guaranteed (2012). Scelta alquanto coraggiosa, curiosa e per questo lodevole, a favore di una nuova leva che si trova a lavorare da un low budget (750.000 dollari) a un kolossal nel giro, come direbbe un Jucas Casella provetto, dello schiocco di dita di una mano. Trevorrow si porta dietro lo sceneggiatore di origine irlandese Derek Connolly, avuto nel suo unico precedente film, ed è quasi un omaggio e un'iniezione di fiducia verso un altro perfetto sconosciuto, proprio per questo ultra motivato e galvanizzato dall'importante occasione ricevuta. E' con lui che va a rielaborare il copione scritto da due astri nascenti del cinema di intrattenimento americano. Si tratta dell'affiatatissima coppia Rick Jaffa e Amanda Silver, salita agli onori della cronaca a fine anni '90 con lo sci-fi horror Relic (1997), trasposizione cinematografica (non troppo riuscita) da Preston Douglas, ma soprattutto con la saga avviata da L'Alba del Pianeta delle Scimmie (2011), dagli stessi scritta e prodotta, che li andrà a spalancare l'accesso ai super blockbuster Avatar II e Avatar III che dovrebbero rispettivamente uscire nel 2017 e nel 2018. Un lotto di individui composto da grande esperienza da una parte, giovani promesse sul punto di esplodere definitivamente dall'altra e nel mezzo perfetti sconosciuti con un'occasione che appena tre anni fa non avrebbero mai immaginato e a tirare il redini del gioco lui... il numero uno: Steven Spielberg.


Il grande coacervo dei soggetti coinvolti a vario titolo nella lavorazione opta per la realizzazione di una specie di remake modernizzato. Si parte da Crichton, scrittore autore del romanzo da cui tutto ha avuto inizio, e dall'idea di Hammond di realizzare un parco divertimenti e la si trasforma in realtà cinematografica. Il Jurassic Park ora è attivo, ha solo cambiato il nome per prendere le distanze dal passato, e si è evoluto in grande stile. Ci sono parchi acquatici dove un enorme Mosasauro si esibisce in numeri da Orca Assassina, palle invisibili per i dinosauri dotate di vetrate antisfondamento e comandi da vettura che permettono ai visitatori di vagare in area ristretta come in una specie di safari, voliere enormi dove volteggiano gli pterodattili e altre dozzine di nuove attrattive. Il pubblico interviene in massa e prende d'assalto la struttura ormai da anni. Questa è la base di partenza per inserire una storia con caratterizzazioni dei personaggi molto vicine a quelle volute da Spielberg nel primo capitolo. Due ragazzotti protagonisti di cui uno, quello più piccolo, "secchione", una coppia di adulti che si respingono pure essendo, di fatto, prossimi a fidanzarsi, il nuovo titolare del parco megalomane, il filo militare idiota che vorrebbe utilizzare i velociraptor quali nuovi soldati da assalto e infine l'informatico sfigato ma simpatico. Come nel primo si verificherà un contrattempo non attribuibile ai limiti della struttura, ma all'atteggiamento superficiale dell'uomo e uno dei bestioni uscirà dal recinto di contenimento generando il panico in giro. Questa in sintesi la trama, per una sceneggiatura che ha comunque il merito di ricercare alcuni spunti interessanti. Primo tra tutti è la relazione tra uomo e animali, col primo che tende a sfruttarli oltre il limite, facendo fare loro cose innaturali (si veda il triceratopo cucciolo costretto a fare da cavallino per i bimbi che si allenano a equitazione), e poi crede quasi di renderli felici. C'è poi chi invece vede in queste bestie estinte 65 milioni di anni fa una risorsa militare, grazie alle evolute ma pericolosissime tecniche di addestramento. Il protagonista, il bravo Chris Pratt nei panni di O.Grady (non per fare il verso allo storico velocista austrialiano che prese la maglia gialla in una clamorosa fuga bidone che gli valse oltre trenta minuti in classifica di vantaggio), si diletta nei panni di un provetto Jean Ray, ammaestrando un lotto di quattro velociraptor. Si tratta probabilmente dell'aspetto più interessante della pellicola, forse lontanamente ispirato a Tentacoli (1977) di Assonitis, dove per uccidere il mostro di turno si misero in scena le orche reputate da tutti delle assassine. Comandi vocali, comandi dettati dal movimento delle mani o dal supporto di strumenti che permettono di trasmettere messaggi cifrati un po' come fatto dalla CIA. Gli sceneggiatori sono bravi a non cadere nel ridicolo, mettendo fin da subito in mostra le grosse difficoltà di controllo su queste creature. "Non è il controllo il punto, ma il reciproco rispetto" ammonisce i colleghi Pratt.
Purtroppo però gli sceneggiatori si concedono qualche libertà di troppo, pur non cadendo nel ridicolo come in alcune sequenze del terzo capitolo. Così fanno entrare in scena un dinosauro nuovo, creato in laboratorio grazie alla genetica, in modo da poter soddisfare le sempre più crescenti richieste del pubblico. Quest'ultimo aspetto è dettato da una giusta lettura degli autori delle cose che ci circondano. Si è ormai persa l'abitudine di apprezzare la bellezza della natura o la semplicità delle cose così piccole che neppur si riesce a vedere, ma si va sempre alla ricerca dell'esagerazione. Eloquente al riguardo la scena successiva al salto fuori dall'acqua del Mososauro, con qualcuno che sugli spalti, spippolando i numeri al cellulare, assiste come se avesse visto emergere un delfino tanto da domandare al fratellino: "la vuoi vedere una cosa davvero pazzesca?" Cambia contesto e vediamo la telecamera soffermarsi in primo piano sullo stemma di una Mercedes, quando è il caso di dire pubblicità non occulta. Così come non sembrerebbe occulto il riferimento al piccolo e sottovalutatissimo b-movie Il Migliore Amico dell'Uomo diretto da Lafia nell'anno di uscita di Jurassic Park. Viene infatti realizzato un dinosauro mettendo insieme tutte le caratteristiche principali dei sauri più letali unite a quelle di creature tutt'oggi viventi. Ne deriva un bestione capace di mimetizzarsi e addirittura di sottrarsi scientemente ai rilevatori di calore (mi pare una boiata) e persino comunicare con i raptor mandandoli all'attacco dell'uomo, nonché uccidere gli altri esseri viventi per il gusto di farlo. Soluzione queste che non portano beneficio alla sceneggiatura, ma che sono strumentali alla spettacolarità della trama. Addirittura questo mostro arriva a falsificare le tracce per depistare gli inseguitori, soluzione inverosimile al mille per mille.
Mi ha convinto poco poi l'atteggiamento da militari idioti, tipo quelli di 28 Giorni Dopo, delle squadre di emergenza che finiranno col fare più danni della grandine. E' proprio questo infatti il modo in cui gli sceneggiatori portano avanti la storia, ogni accorgimento adottato per scongiurare o contenere il disastro andrà ad aumentarne la gravità. Troppo facile inoltre il modo in cui si riuscirà ad aver ragione degli Pterodattili, abbattuti come se fossero piccioni, ma forse questo ci potrebbe anche stare.
Non manca un'evidente citazione a Predator (a voi scoprirla) e un'altra ad Aliens vs Predator, in un epilogo che sembra quasi voler suggellare una pace tra le due creature che avevano animato il primo capitolo e si erano scontrate per l'egemonia del film  negli ultimi minuti di proiezione. Questa volta la parte finale è in perfetto stile Pacific Rim con scontri tra titani, soluzione quest'ultima assai spettacolare al cinema ma che da poco spessore alla trama. Trevorrow è comunque bravo a regalare dettagli, omaggi al primo capitolo (si torna nei luoghi del primo parco con tutti i gadget, le jeep e le sale di allora ormai invase dalla vegetazione) e si dimostra a perfetto agio con un giocattolone come Jurassic World. Alla fine ci si diverte, il ritmo è buono, gli attori simpatici (ci sono quelle battutine che già caratterizzavano il primo film di Spielberg). Tra questi si distingue il protagonista Chris Pratt, 35 enne che cerca di confermarsi quale attore emergente, nei panni di un giovane un po' Brody e un po' Matt Hooper di turno (per citare Lo Squalo), il veterano e militaresco Vincent D'Onofrio (indimenticabile Palla di Lardo in Full Metal Jacket) che esulta (pur non essendone responsabile) per la catastrofe che si sta consumando così da poter avanzare i suoi progetti di sfruttamento bellico, e la bella ma con un personaggio un po' sbadato e scemotto Bryce D. Howard (ammirata nella saga Twilight e in Spiderman 3), figlia proprio di quel RON HOWARD che ho visto per l'ultima volta al cinema prima di ritornare a vedere Jurassic World, chiamata a interpretare una donna in carriera che ha messo da parte la vita privata in favore della lavorativa e che scoprirà il fascino dell'avventura.

Dal punto di vista visivo il film è ottimo, così come gli effetti speciali anche se la computer grafica è davvero tanta e non sempre tale da non tradire la sua provenienza. La colonna sonora ripropone gli storici brani di John Williams, affiancandoli a nuove tracce firmate da Michael Giacchino che però subisce e sente il peso del più blasonato collega.

Tensione, ilarità, azione, scene ai confini dell'horror (senza però andare sullo splatter in modo da rendere fruibile il prodotto anche ai bambini) fanno di questo Jurassic World un ottimo sequel, migliore dei precedenti, che tuttavia paga molto sul versante dell'originalità. Da vedere al cinema per passare due ore di divertimento. In sala nessun risolino e battutacce, ma grande attenzione e atmosfera di chi ha apprezzato la visione. Non delude le attese, forse ce ne sarà un quinto ma questa volta occorrerà ricorrere all'originalità, altrimenti sarebbe giusto fermarsi qui.


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