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sabato 15 novembre 2014

Recensione Autobiografie: MARIO CAIANO. Autobiografia di un regista di B-Movies (Mario Caiano)


Autore: Mario Caiano.
Genere: Autobiografia.
Editore: Edizioni Il Foglio.
Anno: 2014.
Pagine: 180.
Prezzo: 14,00 Euro.

Commento di Matteo Mancini.
Piacevolissima sorpresa offerta dall'ampio catalogo delle Edizioni Il Foglio che propone l'autobiografia di uno dei pionieri del cinema western italiano, nonché abile regista di genere nostrano con poco meno di una trentina di titoli e svariate collaborazioni per il circuito televisivo. Mario Caiano è curiosamente conosciuto per una serie di titoli legati alla parte finale della sua produzione cinematografica, con B-Movie quali Il Mio Nome è Shangai Joe (1973), Milano Violenta (1976) e La Svastica nel Ventre (1976). Eppure il valore del regista romano è da ricercarsi in altre opere, pellicole in cui veniva preferito dai produttori nostrani ai registi spagnoli, per la notevole bravura nel dirigere le scene di azione, e addirittura a un tale che rispondeva al nome di Sergio Leone. A quest'ultimo riguardo sono ormai leggendarie le storie connesse ai due film, Le Pistole non Discutono (1964) e Per un Pugno di Dollari (1964), prodotti in contemporanea dalla Jolly Film, con l'opera di Caiano nata quale prodotto di punta rispetto a quella di Leone.

All'alba degli ottanta anni, Mario Caiano ha così deciso di raccontare in un libro, dallo stesso scritto, la propria storia. Un'avventura nata quasi per gioco, sulla scia del lavoro del padre Carlo, noto produttore cinematografico, e portata avanti per inerzia in attesa di qualcosa di meglio. E' lo stesso Caiano a esprimere bene il concetto rammaricandosi per l'approccio giovanile avuto nei confronti della settima arte: "Non posso fare a meno di dolermi della mia leggerezza, della supeficialità con la quale mi buttai nel mestiere, di quel sentimento molto simile al disprezzo che nutrivo per questo nell'inconcludente convinzione che il cinema fosse solo un parente povero e meno dotato, un parvenu tra le più nobili arti delle lettere, della pittura, della musica... Mi sentivo prestato a quel lavoro in attesa di tornare a qualcosa di più nobile... Ho sognato per anni di vincere la lotteria di un bel libro o qualcosa del genere."

Mario Caiano che esibisce la Vhs di uno dei suoi film più riusciti:
Amanti d'Oltretomba.

La passione per la narrativa è evidente in Caiano, la si carpisce non solo dai retroscena legati all'attesa per la produzione di un film o per il completamento delle riprese bloccate per la mancata elargizione dei fondi necessari alla chiusura del progetto - tempi morti in cui il "nostro" si dilettava nella lettura dei classici (Conrad, Stevenson, Proust) - ma emerge in modo evidente dall'analisi del testo qui oggetto di esame. Caiano struttura la sua autobiografia in modo atipico, molto più vicino a un romanzo di viaggi che a un'opera aneddotica ricca di curiosità e ricordi tecnici. Lo si capisce subito, fin dalla lettura del primo capitolo che non parte all'inizio della sua carriera ma prende le mosse da un direttore della fotografia, Julio Ortas, e dalle usanze dello stesso fuori dal set e di tutte le maestranze spagnole ai tempi dei primi western girati in Almeria.

Caiano si dimostra molto più interessato a rispolverare dagli angoli della memoria i ricordi connessi alle dozzine di viaggi sparsi in giro per il mondo, dall'Africa all'Asia, passando per l'intero continente americano e proseguendo con l'Europa. Viaggi il più delle volte collegati alla realizzazione di qualche film o documentario, caratterizzati quasi sempre dallo spirito di avventura, con capitali ridotti all'osso e una telecamera sempre presente sotto il cappotto per rubare immagini laddove le normative o la riservatezza imposta dagli usi locali lo vietava. Ne deriva una serie di resoconti molto dettagliati sugli usi delle popolazioni indigene, sulla tipologia dei cibi mangiati e sulle condizioni di vita dei paesi del terzo mondo.

Non mancano, chiaramente, gli aneddoti legati alle esperienze sul set, in particolar modo quelli riconducibili ai rapporti con i produttori cinematografici e i dirigenti RAI ("nella stragrande maggioranza, burocrati privi di fantasia, incapaci di entusiasmo") anche se l'autore tende a parlare in generale, quasi volendo evitare di scendere nei particolari specifici. In altre parole, Caiano affronta la materia utilizzando la propria esperienza per parlare del mondo cinematografico e di quello televisivo (parla degli orari pazzeschi e dei carichi di lavoro, delle temperature rigide o torride con relative condizioni di vita sui set, della gestione degli attori orchestrata su condizioni di parità e non di supremazia e degli escamotage, ad esempio, adottati per evitare che venissero rubate porzioni di cibo destinate a fungere da scenografia), sottolineandone i difetti attribuibili alle ingerenze politiche e a un atteggiamento di fondo oscillante tra l'incompetenza e la volontà di incamerare denaro (con capitali intascati anziché messi a disposizione del regista) anche a discapito della qualità dei film (fenomeno intensificatosi negli ultimi anni, quando alla passione è subentrato uno spirito più legato alla volontà di fare affari). Dunque ne esce fuori un'autobiografia sviluppata a macchia di leopardo, infarcita di visioni personali ad ampio raggio (ivi comprese politico/religiose), in cui l'analisi dei singoli film viene ridimensionata a elemento di spunto per parlare di altro tanto che sulla maggioranza di questi film (nonché sugli attori avuti a disposizione, fa eccezione Frank Wolf a cui vengono dedicate una decina di righe) Caiano non spende parola. Ben diversa, invece, è l'attenzione agli inizi da aiuto-regista e da stunt-man, soprattutto sulla descrizione delle esperienze maturate al fianco di Sergio Grieco (sono dispensati aneddoti anche su altri colleghi, tra i quali Cerchio, Mastrocinque e Freda, e produttori del periodo, a partire da Harry Joe Brown, assai odiato per gli atteggiamenti da autoritario isterico), maestro ampiamente apprezzato da Caiano. Si evince da tale impostazione una sorta di presa di distanza del regista dalle sue opere, da leggersi alla stregua di un rifiuto, più o meno inconscio, dettato dalla convinzione di non esser riuscito a fare quanto i sogni avrebbero preteso. Tale tesi è suggerita dal capitolo in cui l'autore rimpiange di non aver sfruttato l'unica occasione capitatagli per realizzare un film autoriale, un po' come se le altre opere fossero di livello marginale, girate per mere ragioni alimentari. Caiano non tradisce dunque il proprio approccio umile, dimostrandosi fin troppo severo con se stesso. E' difatti innegabile che molti film del regista abbiano intrattenuto e divertito migliaia di spettatori, mettendo in evidenza una tecnica invidiabile e all'avanguardia al punto da trasformare questi film in opere immortali, penso, oltre ai titoli già ricordati, all'eccelso gotico Amanti d'Oltretomba (1965), al tortilla-western comico Un Treno Per Durango (1967) o al pionieristico, seppur meno qualitativo, Il Segno del Coyote (1963) ovvero all'ibrido sospeso tra giallo e poliziesco ...A Tutte le Auto della Polizia (1975). Ciò nonostante, pur se acclamato da registi come Quentin Tarantino, Caiano si duole scrivendo: "Quando uno comincia in un certo giro poi è difficilissimo uscirne, cambiare genere, si viene classificati per sempre, bollati come registi di serie B."

La locandina del film prodotto dalla Jolly Film come film di punta
sovraordinato, in partenza, a Per un Pugno di Dollari.

In conclusione l'autobiografia di Caiano è un libro strano, in grado di distogliere la mente alla maniera di un romanzo ma anche di deludere i fan accaniti del cinema di genere, perché poco focalizzata sulle singole pellicole e sui personaggi che le hanno rese indelebili. Poco commerciale e, al contempo, molto personale. Stile brioso, di facile lettura.

Chiudo con una frase di Caiano, relativa al film Il Segno di Zorro (1962), che mi ha particolarmente divertito e che può rendere bene l'idea sulla ragione sottointesa alla realizzazione di certi film: "A ricordarmi questo lavoro, ogni anno mi giunge dalla corrispondente americana della SIAE un piccolo assegno: la percentuale a me spettante dei diritti di sfruttamento come regista italiano del film."


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