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venerdì 19 luglio 2013

Recensione DYLAN DOG: DAL PROFONDO (n.20, Sceneg. Castelli)

Numero: 20.
Uscita: 01/05/1988
Soggetto: Tiziano Sclavi e Alfredo Castelli
Sceneggiatura: Alfredo Castelli
Disegni: Corrado Roi
Copertina: Claudio Villa


Commento Matteo Mancini
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Con questa recensione inauguro la sezione dedicata al mio fumetto preferito: Dylan Dog. Non che io sia un vorace lettore di questo formato, ma per Dylan Dog (nonchè Tex e Zagor) faccio volentieri un'eccezione.

L'albo che vengo ora ad analizzare non è il mio preferito, anzi... Allora perché iniziare con questo? Semplicemente perché l'ho letto ieri sera e ne scrivo un breve commento per cristallizzare le impressioni che ho avuto.

Dal Profondo, questo il titolo dell'albo, esce dopo uno dei miei albi preferiti (Memorie dall'Invisibile) e fa parte di quel lotto di numeri che dai più vengono considerati i più riusciti dell'intera serie. Dunque dovremmo essere alle prese con un bel numero, anche perché il soggetto è di quel geniaccio di Tiziano Sclavi e i disegni di Claudio Villa. Invece non è così, anzi devo dire che è uno degli albi che mi è piaciuto di meno.

La sceneggiatura viene stesa da Alfredo Castelli e propone il canonico tema dei diversi che si trovano a compiere mostruosità, più per costrizione esistenziale che per una vera e propria malvagità di fondo. I malvagi sono altri, sono gli insospettabili borghesi qua rappresentati da dei padroni di un Motel che hanno distrutto la propria famiglia per soddisfare i propri egoistici desideri carnali. Marito e moglie si tradiscono a vicenda, disinteressandosi dell'educazione dei figli che evidentemente vengono dopo gli amanti nella loro scala delle priorità.

Le cose positive del numero finiscono qui, perché Castelli da vita a un minestrone che mischa Psyco di Hitchcock (l'inizo, con la scena della doccia è un palese e dichiarato omaggio) con la leggenda americana dei coccodrillini gettati nelle fogne da famiglie sconsiderate che non avevano più voglia di tenerli. Nell'occasione però al posto del coccodrillino c'è un bimbo in fasce.
Lo script prosegue proponendo una serie di omicidi commessi da una creatura tentacolare che fuoriesce dai lavandini e dai canali di scolo della doccia di un motel che, ovviamente, si chiama "Bates Motel" ed è gestito da un tizio che risponde al nome di Norman Bates ed è un serial killer che si veste da donna in memoria della madre proprio come avviene nel film di Hitchcock (aspetto fatto notare anche nel fumetto da Groucho).

A metà albo, dopo i simpatici siparietti tra Bloch e Dylan (con quest'ultimo legato a una sedia da un cliente psicopatico e il poliziotto che non lo scioglie per una vecchia rivalsa), si capisce già tutto e si assiste a un noioso flashback in cui il mostro racconta la propria genesi e lo fa con estrema lucidità, parlando con Dylan sebbene sia stato abbondonato nelle fogne da piccolo. Qui Csstelli crea un polpettone indigestibile, un po' perché nauseabondo (il bimbo mangia vermoni giganti, topi e poi cadaveri) e un po', soprattutto, perché inverosimile oltre il limite. Non si capisce il motivo per cui il bimbo diventi un mostro tentacolare capace di infilarsi in spazi strettissimi (si suggerisce la presenza delle solite sostanze chimiche scaricate nelle fogne, ma non regge) ma anche di apprendere la lingua e di parlare sebbene non abbia ricevuto nessuna educazione. Inoltre la creatura è dotata di un'intelligenza talmente sviluppata da ricordarsi dove abitava. Per questo ritornerà all'ovile accordandosi col fratello (che alla vista non si stupisce affatto delle deformità dell'altro), che è Norman Bates, con un patto in virtù del quale questo uccide le vittime e l'altro le divora facendo sparire i cadaveri anche perché ha scoperto che la carne umana è migliore di quella dei vermi o dei topi.

A grandi linee è tutto qui, per un albo che fa dello splatter il suo biglietto da visita, ma che ha dei contenuti piuttosto fracassoni e mal gestiti.

Da evitare.



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